Nella gestione pratica della sicurezza sui luoghi di lavoro emerge spesso (purtroppo nei casi in cui si verifica un infortunio in azienda) la questione relativa agli obblighi, e le connesse responsabilità , del datore di lavoro con riferimento alla tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori.
L’art. 2087 del codice civile prescrive un obbligo di prevenzione generale per cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Sarebbe quindi obbligatoria ogni misura di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore e per cui, Il datore di lavoro, deve procedere alla individuzione dei rischi, prevederne le conseguenze dannose in base ad eventi (eventualmente) già verificatisi, e seguire l’evoluzione della tecnica che, sulla base delle nuove conoscenze in materia di salute e sicurezza, mette a disposizione le soluzioni per possibili aggiornamenti delle misure già adottate.
Questo principio è stato confermato nell’art. 2 c. 1 lett. n) del Decreto Legislativo n. 81/2008, nella definizione di prevenzione cioè “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”. Ma quanto è ampia dunque la responsabilità del datore di lavoro? E quanto è ampio l’obbligo di adeguamento delle procedure aziendali e delle misure di sicurezza ai progressi della tecnica?
La Giurisprudenza ha espresso nel tempo un orientamento costante affermando la impossibilità di subordinare la sicurezza a criteri di fattibilità economica o produttiva. Significa che il datore di lavoro è obbligato ad un inseguimento infinito ed incondizionato degli adeguamenti?
Una lettura formale della norma, alla luce della continua evoluzione tecnologica, sembrerebbe pendere verso questa direzione, con conseguenze facilmente immaginabili soprattutto per le PMI. Davvero un’impresa impossibile.
Ci ha pensato la Corte Costituzionale a dare una dimensione più “definita” della questione, riconoscendo all’imprenditore la possibilità di realizzare la sicurezza in base alla particolarità del lavoro, all’esperienza e alla tecnica da lui utilizzata o utilizzata in lavorazioni similari. Un adeguamento delle misure di salute e sicurezza comprese nell’ambito del concretamente fattibile.