Torna sotto i riflettori una questione che ha a che fare con il cosiddetto “rischio di impresa”; la domanda principale, alla luce delle notizie relative alla nascita di nuove imprese e della tenuta di quelle esistenti è: ci sono ancora giovani (adulti tra i 30 e i 50 anni) “coraggiosi” che hanno voglia di assumere le redini di un’impresa e sfidare l’alea insita in una attività economica, ancor più nel nostro Paese?
Se si prende in esame il dato riferito all’avvio di nuove imprese, i recenti commenti alle elaborazioni fornite da Unioncamere, che danno in drastico calo il numero di imprenditori under 30 in Italia (-11% rispetto all’anno precedente e -27% rispetto al 2003) hanno suscitato qualche preoccupazione soprattutto perché ad essere in sofferenza, con un calo superiore al -50%, è soprattutto il comparto della produzione manifatturiera (chimica, meccanica, tessile), più o meno le imprese che rappresentano la “tradizione” produttiva italiana.
Qualche segnale positivo arriva dalle imprese del terziario e dalle attività imprenditoriali del Sud d’Italia che sorpassano quelle del Centro- Nord per dinamismo: probabilmente la mancanza di alternative al classico “impiego” spinge i giovani a confrontarsi con la gestione di un’attività economica.
Sull’altro versante ci sono invece i “figli d’arte”; giovani imprenditori che si ritrovano alla guida di un’impresa avviata dai parenti. Anche qui le problematiche non mancano e sono riconducibili alla individuazione, in famiglia, del “possibile” successore e (di non secondaria importanza) alla sua volontà di proseguire la attività .
Il passaggio di testimone data la miriade di Pmi a conduzione familiare è una questione di tutto rispetto, e nel (prossimo) futuro una quota rilevante di piccole imprese si confronterà con questo evento. Il mancato trasferimento costituisce una causa rilevante di mortalità aziendale ma differenti e spesso contrastanti sono le valutazioni ed i giudizi sulla efficacia dei neoimprenditori – ereditieri.
Uno studio 2008 di Bankitalia, rileva che il talento e il fiuto per gli affari non si trasmettono per via ereditaria, ed evidenzia il calo di redditività , nei casi di successioni familiari, suggerendo l’affidamento della continuità aziendale a manager esterni con un approccio puramente “pro business”. L’obiettivo rimane mantenere in vita l’azienda, dal momento che un trasferimento riuscito conserva più posti di lavoro di quanti se ne possano creare con una nuova impresa.
Soluzioni? forse le disposizioni introdotte con il patto di famiglia e la frequenza di un corso che insegni come non disperdere un patrimonio di ricchezza (familiare).