Negli ultimi anni si è consolidata la tendenza, da parte delle aziende, a fornire ai propri dipendenti dei ticket per il pranzo in sostituzione del servizio di mensa.
I buoni pasto possono ormai essere considerati al pari dei soldi contanti: essendo fruibili presso varie tipologie di esercizi commerciali esterni, rappresentano dunque un vero e proprio salario aggiuntivo, anche se con diverso trattamento fiscale rispetto alle tradizionali voci in busta paga.
Il segreto del loro successo, perciò, è probabilmente da attribuire ai notevoli vantaggi, avvertiti da tutte le parti in gioco: dipendenti, esercenti e persino le aziende stesse.
Per quanto riguarda il datore di lavoro, in particolare, analizziamo le tre alternative possibili:
- acquistare i ticket da società terze da fornire al proprio personale;
- dare ai dipendenti dei soldi in più in busta paga;
- mettere a disposizione un servizio mensa.
La prima scelta porta le aziende a risparmiare fino all'84%, poiché il buono pasto viene catalogato dalla normativa come un servizio sostitutivo a quello mensa, quindi è esente per legge da tassazioni, nonchè contributi, rate di tredicesima, quattordicesima, ferie e TFR. Il tutto fino ad un prezzo di 5,29 euro (valore classico di un buono).
Quindi non solo i 5,29 euro dati al dipendenti risultano essere la spesa effettiva che un’impresa affronta – che in caso di convenzioni possono anche essere meno – ma per le aziende esiste anche il vantaggio in più: i buoni possono essere detratti.
Questo a fronte delle agevolazioni scattate dal 1° settembre per mezzo dell’articolo 83, comma 28 bis del decreto legge 112/2008 sugli oneri per la somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti di imprese e professionisti.
Scegliendo la seconda alternativa, l’azienda si troverebbe per ogni 5,29 euro dato al dipendente a spendere in realtà 9,98 euro.
Il servizio mensa invece presenta alcuni fattori sconvenienti non rientrando nel campo di applicazione del limite di deducibilità di 5,29 euro, ed è quindi soggetta agli oneri previdenziali e fiscali, entrando a far parte a pieno titolo nella retribuzione totale erogata al dipendente. Dunque viene applicata l'IVA del 4% sul valore della prestazione delle mense (sia interne che esterne appaltate dall'azienda).
Una piccola impresa non ha sempre il “dovere” di fornire buoni pasto ai dipendenti, ma i benefici in termini fiscali (oltre che di consolidamento del rapporto con il proprio team) non sono da sottovalutare.
Il consiglio è di chiedere al proprio commercialista un consiglio pratico, che risponda al profilo della propria azienda.
Anche dal punto di vista dei dipendenti i vantaggi nell’adozione dei buoni pasto sono molteplici. Vediamo le due alternative per i lavoratori dipendenti:
- chiedere al datore di lavoro un’indennità di mensa in busta paga;
- chiedere il rilascio di buoni pasto.
Anche in questo caso, la seconda scelta comporta dei vantaggi fiscali essendo esenti da trattenute fino a 5,29 euro consentono un potere di spesa maggiore del 40% (valore che verrebbe pagato al fisco scegliendo la prima strada).
Inoltre la loro odierna diffusione ha fatto sì che attualmente possano essere utilizzati e convertiti in beni di consumo presso molti esercii commerciali, che a loro volta sono avvantaggiati dall’accoglierli attirando così sempre più clienti.
A chiudere il ciclo del vantaggio economico è la società che emette i tiket e li vende alle imprese: per incentivare anche quelle di piccole dimensioni, sono in netto aumento le formule premio tanto per le aziende che per i dipendenti, che mirano a consolidare questo circolo virtuoso premiando tutti gli attori della catena.
Un business? Anche, ma non solo: i buoni pasto contribuiscono al benessere del lavoratore che ovviamente si ripercuote positivamente sulle attività lavorative e sulla produttività dell’impresa.
Un servizio, quello dei buoni pasto, che sembra dunque far felici tutti. Basta tener d’occhio l’eventuale perdita del loro valore d'acquisto: il limite indicato per legge perché i buoni pasto siano esenti da tasse rimane fermo a 5,29 euro, un valore limite con cui al giorno d’oggi non è semplice da mantenere.
Non a caso, le associazioni di categoria stanno chiedendo da tempo che venga innalzata la quota defiscalizzata dei buoni pasto, prendendo ad esempio paesi europei come il Portogallo (6,70 euro), la Francia (7,00 euro) o la Spagna (ben 9,00 euro).