A differenza di quanto avviene con le grandi aziende, le piccole e medie imprese oggi come in passato continuano ad essere subordinate al mercato. Sono assoggettate agli sbalzi dei prezzi e dei costi; sono assoggettate soprattutto alle scelte dei consumatori, che da tali imprese possono ben poco essere condizionati e tanto meno controllati.
Per sopravvivere o per prosperare le piccole e medie imprese continuano quindi ad avere la necessità di conquistare i consumatori. E devono farlo in un mercato globale inflazionato di concorrenti.
Competere solo sulla qualità e sul prezzo pare non essere più sufficiente per conquistare una posizione economica sostenibile o per emergere, anche perché quei concorrenti tradizionalmente etichettati come concorrenti low cost da un lato continuano a farsi forza di grossi vantaggi in termini di costi del lavoro, che si traducono in prezzi al consumo più bassi; dall'altro stanno mettendo in campo anche una impensabile capacità di apprendimento che sta consentendo loro un miglioramento importante anche in termini di qualità .
Per conquistare i consumatori e superare la dura selezione del mercato, evitando la fuoriuscita dal gruppo delle imprese economicamente attive, diventa oggi sempre più rilevante anche la capacità di offrire prodotti innovativi. Con ciò emerge la necessità di fare dell'innovazione una parte fondamentale della politica competitiva delle Pmi.
Certo, rispetto alle imprese inserite in settori stagnanti e già scandagliati in profondità le imprese inserite in settori vitali e aperti a tanti nuovi possibili sviluppi hanno più facilità nel percorrere la strada dell'innovazione.
Dove ci siano spazi inesplorati è più facile essere innovativi e sopperire a livelli di capitalizzazione in genere limitati, con conseguente debolezza economica e limitata disponibilità di investimento.
Sempre e comunque, tanto per chi operi in settori vitali quanto per chi operi in settori stagnanti, l'innovazione non mette al riparo dall'incertezza.
L'impatto economico dei nuovi prodotti è infatti sempre incerto perché è incerto il loro gradimento sul mercato da parte dei consumatori.
Per di più, anche prodotti accettati – che riscuotano inizialmente successo – non mettono al riparo da quegli shock esogeni che possono derivare dal lancio di nuovi, più accattivanti prodotti, da repentini cambiamenti nei consumi e quant'altro.
Di fronte alla possibilità di insuccessi, anche molti tra i più coraggiosi imprenditori peccano di un certo fatalismo.
La necessità di fare dell'innovazione una parte fondamentale della politica competitiva delle Pmi richiede invece di sostituire al fatalismo una solida cultura di risk management che inserisca la gestione del rischio in una prospettiva gestionale, reddituale e strategica senza comunque cadere nella trappola di quei congegni della direzione pseudoscientifica fatti di artificiosi organigrammi integrati dalla teoria delle probabilità , nell'alchemico proposito di misurare il tasso di rischio per ogni possibile linea di condotta scelta: sono tecnicismi ingessanti, deleteri tanto quanto il fatalismo.