Al giorno d’oggi ogni dipendente di azienda possiede un PC con una connessione internet, questo lo sappiamo, quello che forse non tutti sanno è che l’uso di internet sul posto di lavoro va correttamente regolamentato.
La questione non è di facile discussione per la convergenza di interessi e istanze differenti: abbiamo da una parte la pretesa del lavoratore – del tutto legittima? – di non essere sottoposto a controlli che limitino la propria libertà e che ledano la sua privacy.
D’altro canto il datore di lavoro – anche qui giustamente – deve tutelare la propria azienda e rendere chiaro che i dipendenti hanno a disposizione una connessione dati per lo scambio di materiali e informazioni strettamente legati all’attività lavorative. Ovvio: l’utente non deve abusare di un servizio che gli viene offerte.
È quindi necessario trovare il giusto mezzo per mediare tra le due istanze che apparentemente paiono inconciliabili.
Il datore di lavoro esprime la sua necessità di controllare i propri dipendenti e di valutarne in questo modo la produttività e la resa sul piano di tempi e costi. Quanto lavora realmente? Quanto è considerabile un “buon dipendente” ? E via dicendo…
D’altro canto il dipendente, vuole – a tutti gli effetti – essere libero di fare quello che vuole e sfruttare il mezzo offerto dall’azienda per scopi che trascendono gli usi comuni e consentiti.
La cosa migliore da fare – a mio modo di vedere le cose – sarebbe quella di informare ed educare in primo luogo, instaurando un dibattito costruttivo nel quale vengono evidenziate le ragioni dell’una e dell’altra tesi.
Rispettare gli spazi personali è obbligatorio e fondamentale, anche per questioni etiche e di rapporti di fiducia, ma al tempo stesso un dipendente deve rendere se stesso affidabile.
Se esistono nell’azienda sistemi per la raccolta dati o comunque sistemi in grado di controllare la navigazione delle utenze sarebbe bene informare le stesse, nel rispetto e nella chiarezza.
Sono convinto che attraverso la chiarezza ed una corretta sensibilizzazione si possa arrivare ad un giusto compromesso. Se un dipendete risponde ad una mail personale non mi sembra si possa parlare di violazione, differente invece nel caso in cui spenda parte del proprio tempo – se non tutto – per giocare in rete, o per attività non consone ad un ambito lavorativo.