La ripresa forse è iniziata e siamo in uscita dalla crisi, ma i «costi congiunti della recessione e di politiche di bilancio restrittive sono stati elevati» e «lo stato dell’economia resta fragile, in particolare del mercato del lavoro». La parola d’ordine per questo 2014, in Italia e in Europa, è dunque sostenere la crescita, e se da una parte questo obiettivo va perseguito attraverso mirate politiche economiche, dall’altra anche le imprese possono fare la loro parte. Le considerazioni finali di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia analizzano come di consueto il contesto economico internazionale e nazionale, identificano i dati più rilevanti sull’andamento dell’economia e propongono ricette per il sistema politico, europeo e italiano, per le banche, la finanza e le imprese. Vediamo i passaggi dedicati ad aziende e PMI.
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Primo elemento: anche in questi anni di crisi, ci sono «molte imprese italiane» che «hanno saputo difendere, in alcuni casi aumentare, le loro quote sui mercati esteri». Quindi, si può dedurre, internazionalizzare e puntare su nuovi mercati è stata è continua ad essere una ricetta vincente. Ma «la caduta dell’attività rivolta all’interno è stata drammatica: nel complesso la produzione industriale si è ridotta di un quarto». E se nell’ultimo trimestre 2013 le esportazioni sono tornate ai livelli del 2007 (pre-crisi), i consumi delle famiglie erano ancora inferiori di circa l’8%, gli investimenti del 26%, la perdita di capacità produttiva dell’industria nell’ordine del 15%. Il compito della politica è la ripresa dei consumi, ma «i benefici degli sgravi fiscali di recente approvazione« non riusciranno a diventare «forza trainante di ripresa senza un duraturo aumento dell’occupazione».
La questione occupazione è entrale per diversi motivi: non solo il sostegno ai consumi e alla fiducia delle famiglie, ma anche le competenze. « Non va sottovalutato il rischio che un ulteriore allungamento della durata della disoccupazione intacchi le abilità e competenze individuali e le allontani da quelle richieste dalle imprese». Questa continua a essere una sfida per la politica, ma non solo. «In passato, recessioni profonde si sono associate ad ampie ristrutturazioni del sistema produttivo che hanno dato luogo all’introduzione di nuove tecnologie e modelli organizzativi che risparmiano lavoro». E allora, la «crisi può essere per le nostre imprese l’occasione per attuare ed estendere quello che fino ad oggi in molti casi ha tardato: un profondo rinnovamento del modo di produrre di fronte alla rivoluzione digitale, in grado di generare nuove forme di impresa e di occupazione, in nuovi ambiti di attività». Traduzione: le imprese devono innovare. La chiave? L’aumento degli investimenti fissi. Del sistema Italia, certo, ma anche delle aziende.
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«Il rapporto tra investimenti lordi e PIL è sceso di quattro punti percentuali dal 2007, portandosi nel 2013 al 17%, il minimo dal dopoguerra. Vi ha concorso il difficile accesso di molte imprese al credito bancario. Ma è soprattutto dalla diffusa incertezza sulle prospettive di crescita della domanda e sull’orientamento delle politiche economiche che dipendono rinvii e riduzioni dei piani di ristrutturazione e di ampliamento della capacità produttiva». Ebbene, «sul finire del 2013 i giudizi sulle condizioni per investire sono divenuti più favorevoli, soprattutto da parte delle aziende più grandi». Ma resta un modello di finanzimaenti delle imprese che «riflette tratti strutturali del nostro sistema produttivo, quali la piccola dimensione e la natura familiare della proprietà». E gli imprenditori italiani sono «restii ad aprirsi all’ingresso di nuovi soci o a reperire fondi direttamente sul mercato, anche per un sistema impositivo a lungo poco favorevole al capitale di rischio». Passi avanti in questo senso ne sono stati fatti: più risorse per il Fondo della Garanzia, ampiamento della platea dei beneficiari. Il sistema bancario, uscendo dalla crisi di liquidità, dovrebbe essere sempre più in grado di andare incontro alle esigenze delle imprese. La normativa sull’aiuto alla crescita economica (ACE), introdotta a fine 2011 e rafforzata dalla Legge di Stabilità 2014, riduce lo svantaggio del capitale rispetto al debito. E «offre un importante occasione a tutte le imprese; si stima che nel biennio 2013-2014 quasi il 40% delle aziende con più di 20 addetti abbia aumentato il patrimonio netto».
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Provando a tradurre in una ricetta semplice le parole del Governatore: internazionalizzare, cercare nuovi mercati, puntare sulle competenze, investire, aprirsi al capitale di rischio. I compiti a casa, per le imprese, in questo 2014 non mancano. Speriamo che, dopo tanti anni, i voti (come il PIL) tornino positivi.
del Governatore della Banca d’Italia