Si è espressa in tema di demansionamento la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 7639/2018 con la quale ha accolto il ricorso presentato dal datore di lavoro precisando che il reato di configura solo se il lavoratore è costretto a subire sopruso. Nella causa in esame la Corte ha inoltre chiarito che la mera conoscenza di particolari e aspetti della vita privata del dipendente non basta al fine di provare la para-familiarità e quindi ad integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia.
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Demansionamento e sopruso
Lo stato di subordinazione/soggezione si evidenzia solo se è possibile provare che il lavoratore perseguitato si trovi in una condizione di “sostanziale giogo” rispetto al superiore “ossia in uno stato nel quale lo stesso sia costretto ad accettare il sopruso (…) finendo con il subire la propria autosvalutazione come male minore o, comunque, come conseguenza inevitabile del proprio stato”.
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Demansionamento e mobbing
Con la Sentenza n. 3871/2018 la Corte di Cassazione ha invece condannato il datore di lavoro a risarcire un dipendente per il demansionamento subito, anche se non viene riconosciuta l’accusa di mobbing lamentata dal lavoratore stesso. Per la Corte di Cassazione il giudice di merito deve comunque valutare se i comportamenti adottati dal datore di lavoro, singolarmente considerati, possano configurare una qualche responsabilità per l’azienda. In sostanza anche se non si dimostra il mobbing non è escluso che il datore di lavoro non abbia sbagliato e per questo debba risarcire il dipendente.
Fonte: Corte di Cassazione