L’assenza per malattia non compromette la possibilità di svolgere un secondo lavoro, purché si possa dimostrare che questo è compatibile con lo stato di malattia e che non comprometta la guarigione, ovvero non ritardi il suo reinserimento nell’attività lavorativa principale (provocando un danno al datore di lavoro).
Doppio lavoro e malattia: l’orientamento di prassi
Con numerose sentenze in materia (ad esempio la n. 15989/2016), la Corte di Cassazione si è posta in linea con le precedenti pronunce della stessa Corte (come ad esempio la n. 23365/2013 con la quale era stato definito illegittimo il licenziamento di un lavoratore che, posto in malattia, aveva trovato un secondo lavoro che però non pregiudicava la guarigione).
Licenziamento per doppio lavoro in malattia
Un’assenza per malattia legata ad una sindrome ansioso-depressiva provocata dall’ambiente di lavoro, per esempio, non pregiudica lo svolgimento di un secondo lavoro che prevede per esempio mansioni di natura domestica o manuale, o che comunque si svolge presso un diverso luogo di lavoro, quindi senza incidere sulla malattia o sulla guarigione.
Dunque, non ci sono gli estremi per il licenziamento.
Dalla illegittimità del licenziamento scaturisce il diritto al reintegro sul posto di lavoro o al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni globali maturate dal recesso all’effettivo rientro al lavoro, a cui si aggiungono rivalutazioni, interessi e spese legali.
Al lavoratore assente per malattia non è fatto divieto assoluto di prestare, durante tale assenza, un’attività lavorativa in favore di terzi, purché questa non evidenzi una simulazione di infermità o si dimostri che il lavoratore abbia agito fraudolentemente in danno del datore di lavoro.
Pertanto, non si configura una giusta causa di licenziamento fondato sulla presunta incompatibilità dell’attività prestata durante la malattia al recupero delle facoltà necessarie a riprendere l’attività lavorativa.