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La protesta degli imprenditori: ragioni e torti

di Barbara Weisz

Pubblicato 3 Marzo 2014
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:38

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In un periodo che vede gli imprenditori mobilitati per far sentire la propria voce, può essere utile ricordare una delle premesse con cui Matteo Renzi a inizio 2014 (da segretario del Pd e non da premier) presentava il suo Jobs Act.

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«Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare». Ora, lo stesso Renzi dopo questa premessa puntava il dito contro la mediocrità  di una classe dirigente che ha gestito male il paese, facendo perdere molto tempo, e metteva l’accento sulla necessità  di operare semplificazioni e norme per incentivare «la voglia di investire dei nostri imprenditori» e attirare capitali stranieri. E’ indubbio che il sistema Italia ha parecchi problemi, come dimostra il piazzamento in coda alle classifiche sulla competitività  della Banca Mondiale e delWorld Economic Forum.

=> La piazza del Popolo di imprenditori e PMI

Dunque, fanno bene gli imprenditori a presentare il conto alla politica: burocrazia troppo pesante, accesso al credito difficile, mercato del lavoro ingessato, tasse alle stelle. Tutte problematiche sacrosante, tutte questioni alle quali politica e istituzioni devono dare risposte.
Ma ci sono anche altri dati che devono far riflettere: la spesa in ricerca e sviluppo delle aziende italiane è bassa. Secondo il Rapporto ISTAT Noi Italia 2014, l’investimento è dell’1,25% in fondo alla classifica europea.
Gli addetti R&S sono 3,8 ogni mille abitanti (oltre 10 in Finlandia, sul primo gradino del podio comunitario). Le imprese innovatrici sono il 38% lontani dal 50% della Germania. La diffusione delle tecnologie fra le PMI è ridotta: solo il 34% ha un sito internet e solo il 13% lo usa per fare e-commerce.

Ci sono problemi, scarsamente affrontati dalle istituzioni ma anche dalle imprese, legate alle piccole dimensioni, alla difficoltà  di internazionalizzare, a una gestione familiare che spesso non valorizza le competenze mangeriali. Gli esempi di imprese italiane che primeggiano non mancano, la vocazione imprenditoriale del paese è importante, il Made in Italy è un marchio riconosciuto nel mondo, tutto questo è merito della cultura imprenditoriale italiana. Ma, in conclusione, se le istituzioni politiche non possono non raccogliere la sfida della ripresa, gli imprenditori – fra una manifestazione, un flash mob e una marcia digitale – si ricordino che a costruire le imprese di successo sono prima di tutto loro stessi.