La guerra commerciale sui Fotovoltaico fra Europa e Cina si è concluso con un accordo che non soddisfa le aziende del settore: l’intesa prevede un impegno dei produttori cinesi ad accettare un limite minimo al prezzo dei propri pannelli fotovoltaici con effetto unti-dumping (concorrenza al ribasso). Indiscrezioni di stampa parlano della possibilità di esportare in Europa fino a 7 GW di prodotti l’anno a un prezzo minimo compreso fra 56 e 57 centesimi per watt. L’intesa è stata raggiunta con circa 90 produttori cinesi, che rappresentano il 60% delle importazioni in Europa: ai prodotti importati in Europa oltre la soglia o infrangendo il prezzo stabilito, si applica la barriera doganale del 47,6% =>Leggi le news sul Fotovoltaico.
L’Europa ha prima deciso un’imposta doganale del 47,6% sui pannelli fotovoltaici cinesi, poi ha stabilito un periodo transitorio, che terminerà il prossimo 6 agosto, durante il quale il dazio è all’11,8%. Ricordiamo che la trade war va avanti da qualche mese: l’Europa ha posto dazi sui pannelli fotovoltaici cinesi e la Cina ha risposto con un’indagine anti-dumping (pratiche commerciali scorrette) sui vini europei (leggi qui).Critiche le associazioni di imprese del settore, che evidentemente ritengono l’accordo particolarmente vantaggioso per i concorrenti orientali. In Italia, dall‘IFI (Industrie Fotovoltaiche Italiane) solleva anche una questione politica: «andrebbe chiarito se il ruolo della Commissione, nell’accettare una negoziazione, non esuli dal ruolo eminentemente tecnico» che Bruxelles dovrebbe avere. Insiste il presidente, Alessandro Cremonesi: l’esecutivo comunitario «per la prima volta nella sua storia» è uscito dal proprio ruolo tecnico e si è fatto «persuadere da spinte politiche di alcuni Paesi (fra cui la Germania, n.d.r) che ritenevano negative le conseguenze e le ritorsioni che la Cina avrebbe potuto mettere in atto e che, in alcuni casi, ha già avviato». Si tratta di «un errore», che crea «un precedente scomodo per tutte le dispute di dumping relative ad altri settori», con il rischio che da oggi «ogni Paese forte che intenderà operare commercialmente in Ue, saprà che l’Europa è negozialmente più debole, che accetterà anche compromessi in aperta violazione delle proprie norme, principi, regolamenti».
Comunque, «il raggiungimento dell’accordo non è di per sè nè un fatto positivo, nè negativo. Deve conseguire un solo unico obiettivo: rimuovere il pregiudizio e il danno provocato dal dumping cinese. Ma deve anche rimuovere le cause che lo hanno generato, quali sussidi illegali alle imprese produttrici. Ci risulta che la Commissione abbia rilevato almeno una trentina di elementi che costituiscono sussidi legali alle imprese cinesi». Anche Eu ProSun, associazione di produttori europei, definisce l’intesa contraria «sotto ogni aspetto alla legge europea» in quanto «minaccia l’esistenza dell’industria solare europea che ha già perso 15mila posti di lavoro a causa del dumping cinese e degli aiuti di stato illegali forniti dal governo di Pechino, e ora rischia di portare al fallimento i produttori rimasti in Europa».
Ora l’accordo dovrà passare il vaglio della commissione di Bruxelles. Il commissario Ue al Commercio Karel De Gucht, lo ritiene invece «la soluzione amichevole che Europa e Cina stavano cercando»: «grazie a questo accordo sui prezzi, il mercato europeo del solare si stabilizzerà e rimuoverà i danni che le pratiche di dumping hanno causato all’industria europea». La soluzione individuata «porterà i pannelli a un prezzo sostenibile e si tradurrà in un nuovo equilibrio sul mercato europeo».