Il disco verde alle immatricolazioni anche dopo il 2035 di nuove auto alimentate con motori e-fuels (electrofuel) non è una buona notizia per l’Italia, che nella partita della transizione green dell’automotive ha sta puntando evidentemente sul “cavallo sbagliato” secondo la UE.
Il problema è che nel nostro Paese, al momento, non sono presenti impianti di produzione di carburanti sintetici perché negli anni scorsi ritenuti troppo costosi rispetto ad altre tecnologie a parità di resa.
Chiusura UE all’opzione biocarburanti
Optare adesso per gli e-fuels, in vista della scadenza intermedia del 2035 per la transizione verso la mobilità a emissioni zero, per l’Italia non sarebbe economicamente sostenibile. Il nodo, in realtà, non è tanto quello di dimostrare la compatibilità dei bio-carburanti con tale obiettivo al pari dei carburanti sintetici, come ha dichiarato la premier Giorgia Meloni a margine della due giorni di Bruxelles appena conclusasi.
Il problema vero è per certi versi burocratico: mentre gli e-fuels sono già presenti nel Regolamento UE votato e approvato (elencati nel “Considerando 11”), nel testo di legge non si parla di biocarburanti. Ammetterli adesso significherebbe revisionare il provvedimento e sottoporlo ad una nuova votazione, con tempistiche che la UE non reputa affrontabili. Da qui la chiusura, confermata nei giorni scorsi dal Vicepresidente della Commissione Europea con delega al Green Deal, Frans Timmermans.
Bio-carburanti ed e-fuels sintetici a confronto
- Gli e-fuels sono carburanti sintetici prodotti dall’estrazione (alimentata da energia rinnovabile) di idrogeno verde, poi combinato con la CO2 per creare un combustibile liquido carbon neutral. Sono compatibili con le infrastrutture già in uso per la distribuzione e la vendita di motori a benzina e diesel e sono stati scelti dalla Formula 1 a partire dalla stagione 2026.
- I biocarburanti su cui ha invece investito l’Italia, sono una realtà già da diversi anni, con Eni in prima linea con un piano industriale che ne prevede una produzione pari a 5 tonnellate entro il 2023. Sono prodotti dalla lavorazione di biomasse o da loro scarti e permette anche la differenziazione dei prodotti, come l’Hvo (hydrotreated vegetable oil) o il Saf (sustainable aviation fuel).