E’ ancora SOS liquidità per le PMI italiane tra le difficoltà di accesso al credito e il perdurare dell’annoso problema dei ritardi nei pagamenti, da privati e PA. In entrambi i casi l’Italia è fanalino di coda in Europa, con una media di 52 giorni per il pagamento tra imprese (contro i 37 europei) e di 95 giorni in caso di Pubblica Amministrazione (contro i 41 europei).
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A questa situazione si aggiunge il fatto che ogni anno in Italia sono centinaia di migliaia le piccole aziende che non riescono ad accedere al credito bancario. Anche in Europa, secondo i dati più aggiornati della Commissione Europea, circa una PMI su tre non ottiene il finanziamento richiesto. La Banca d’Italia spiega questa difficoltà nell’accesso al credito delle PMI sia con la loro maggiore fragilità finanziaria, ma con un evidente minore interesse del sistema bancario a fornire loro finanziamenti.
In questo contesto si stanno facendo sempre più strada i canali alternativi di accesso al credito: dal crowdfunding all’equity crowdfunding, dal factoring alle piattaforme online di invoice trading, ovvero di compravendita di fatture.
Si tratta di uno dei circuiti innovativi e complementari a quello bancario che rappresenta attualmente uno dei segmenti più interessanti nel panorama fintech per gli ampi margini di crescita previsti, a fronte dei volumi che oggi viaggiano offline: l’anticipo fattura vanta oggi 87 miliardi di valore complessivo, circa 30 miliardi in più della seconda voce principale che è il factoring (dati Osservatori Digital Innovation).
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La prima società a puntare sull’invoice trading è stata Workinvoice, che ha avviato a fine 2013 una piattaforma web per la compravendita dei crediti commerciali con il seguente meccanismo: i crediti vengono messi all’asta per 1 giorno poi, solitamente entro 4-5 giorni dall’inizio della procedura l’azienda cedente incassa il 90% dell’importo della fattura sul proprio conto. A Workinvoice, nel 2016, si sono aggiunte altre società come Cashme, Fifty Finance, Credimi e Crowdcity spinte probabilmente dal successo del segmento.
In soli due anni, infatti, sulla piattaforma Workinvoice sono state messe all’asta e vendute più di 920 fatture esigibili, per un importo medio di 70mila euro ma, spiega Matteo Tarroni, ceo e co-fondatore di Workinvoice:
«Per un salto di qualità sarebbero utili alcune misure. Una su tutte potrebbe essere implementata a costo zero: rendere illegali le clausole di divieto di cessione dei crediti commerciali, che alcune aziende o la maggioranza delle aziende di interi settori industriali impongono nei propri contratti di fornitura ai propri fornitori. Qualunque limitazione al finanziamento e alla trasferibilità di questi crediti e qualunque aggravio di costo conseguente andrebbe valutato con grande attenzione. Infatti, chi finanzia questi asset richiede che i relativi diritti gli vengano trasferiti per consentirgli di rivalersi sul debitore in caso di mancato pagamento».