L’imminente adozione del nuovo accordo interbancario di vigilanza prudenziale – finalizzato ad una corretta gestione delle “attività a rischio” del sistema – Basilea III è quanto mai controversa, alla luce dei processi di trasformazione dell’economia, del lento spostamento del baricentro produttivo verso nuovi punti cardinali e ovviamente, della profonda crisi che ancora affligge l’economia mondiale.
L’accordo interbancario
L’accordo di Basilea III, che sarà attuato gradualmente fino all’entrata a regime prevista per il 2019, innalza il requisito minimo patrimoniale complessivo degli istituti di credito dall’8 al 10,5%: non è difficile immaginare come conseguenza l’immediata stretta sui prestiti contestuale alla maggiore difficoltà nel cedere credito alle imprese.
I rischi
Molti operatori temono che, con l’entrata in vigore delle nuove norme internazionali, potrebbero inasprirsi i fenomeni di credit crunch, con una stretta del credito che costituirebbe una forte penalizzazione per le aziende, soprattutto le piccole e medie imprese, proprio nel momento in cui avrebbero necessità di un più solido sostegno da parte delle banche per far fronte alla scarsa liquidità di cassa: per le Pmi in difficoltà economica, il credito bancario può voler dire investimenti e rilancio ma anche solo sopravvivenza.
Le soluzioni
Per arginare la riduzione dei prestiti – eventualità che potrebbe presto trasformarsi in certezza – le associazioni bancarie e quelle delle imprese hanno depositato una proposta alla Commissione Europea, nella quale si chiede di inserire, nella normativa europea che rimanderà Basilea III nella direttiva CRD4, quel che è stato definito un “balancing factor” da applicare nella formulazione del calcolo complessivo degli attivi ponderati e quindi nella valutazione del rischio per le piccole e medie imprese.
Il “fattore di bilanciamento” fungerebbe da calmiere, contribuendo a riequilibrare il previsto aumento quantitativo dei requisiti patrimoniali (che a regime dovrebbe essere del 30% superiore rispetto all’attuale).
In pratica, consentirebbe alle banche di aggirare l’obbligo di aumentare l’assorbimento di capitale necessario del 30% rispetto ad oggi, lasciando aperti i canali per l’accesso al credito alla piccola e media impresa, intesa secondo la definizione di società con fatturato al di sotto dei 50 milioni di euro.
Tutto questo potrebbe anche arginare la tendenza dei mercati alla progressiva applicazione di Basilea III rendendo la situazione più complicata per le Pmi, e finendo per far chiudere progressivamente i rubinetti alle banche. Infatti se l’espediente descritto fosse accettato e andasse ad emendare l’accordo internazionale, potrebbe anticipare la sua operatività già al 2013, bloccando i vari step previsti (in alcuni casi fortemente penalizzanti per le Pmi) che il mercato sta già mettendo in atto in attesa di entrare nella fase operativa di Basilea III.
Per scongiurare le ricadute negative sulle Pmi, dunque, il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, responsabile per l’industria, ha da tempo avviato una serie di tavoli proprio con ABI, Confindustria, Rete imprese Italia e Alleanza delle cooperative italiane per discutere delle varie opzioni.
L’obiettivo è chiaro: risolvere il problema dell’accesso al credito da parte delle Pmi, che potrebbe nascere alla luce del nuovo accordo internazionale. Per la prima volta, in pratica, banche e mondo d’impresa hanno condiviso timori e strategie in relazione ad una norma la cui applicazione troppo rigida potrebbe creare effetti domino capaci di ingessare l’intero sistema bancario.
Intanto, il sistema delle banche si sta preparando per arrivare pronte al traguardo: «tra ottobre 2010 e aprile 2011 sono stati varati aumenti di capitale per oltre 11 miliardi. Gran parte delle operazioni si concluderà entro l’autunno e permetteranno di avvicinarsi all’obiettivo previsto da Basilea 3 per il 2019», ha spiegato Mario Draghi a margine dell’assemblea della Banca d’Italia dei giorni scorsi.
Non solo: con gli stress test si è perseguito l’obiettivo comune di tenere «in debito conto le specificità delle banche italiane» e renderle «pienamente aderenti all’evoluzione della normativa, specie nella definizione delle poste di capitale, e quindi in grado di superare lo scrutinio internazionale».