Un modello di open innovation per far crescere le PMI partendo dai loro punti di forza, ovvero il radicamento sul territorio e le competenze acquisite, e farle entrare in un ecosistema di innovazione: è quello proposto da G2, acceleratore di startup e imprese, con il programma Acceleratio, che punta fra l’altro su un virtuoso rapporto fra piccole e medie imprese e startup. Uno dei temi al centro di SMAU Milano 2016, a cui G2 ha partecipato proponendo workshop, tavole rotonde, incontri con esperti di innovazione, pitch di tre minuti per le startup incubate. PMI.it ha incontro la Ceo, Roberta Gilardi, fondatrice di G2 insieme al fratello Massimiliano.
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«Siamo un acceleratore che funziona in modo classico – spiega -, selezioniamo idee su cui investire, per farle crescere» e in questo momento «stiamo costruendo un veicolo di investimento per farlo più industrialmente dall’anno prossimo. Ci siamo concentrati molto, anche perché è un’esperienza che abbiamo già fatto, lavorando su tematiche che oggi sono molto up to date in tempi non sospetti». Come, appunto, l‘open innovation. I primi progetti sono partiti nel 2011 – 2012, erano soprattutto concentrati sul prodotto, con grandi aziende, quindi a livello corporate. Il nuovo progetto, Acceleratio, si basa sull’idea che, però, «in Italia non ci sono tanti grandi corporate, mentre c’è un solido tessuto industriale di PMI». E la domanda a cui G2 ha cercato di rispondere è la seguente: come si fa a coinvolgere queste imprese in un progetto che spesso e volentieri viene visto come troppo impegnativo? «Il nostro approccio è collaborativo, e nasce dalla consapevolezza che nei territori ci sono imprese, competenze, professionisti, start up o altri elementi che possono costituire un micro sistema», ma che non lo fanno perché a loro manca una cosa, il metodo. «E noi abbiamo metodo e competenze» spiega Gilardi.
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Il modello Acceleratio è «un modello rete, una sorta di franchising dell’innovazione», per cui si crea in ogni territorio almeno un hub (un coworking evoluto), e un team di persone (azienda di consulenza, professionalità) che ha dei clienti e vuole sviluppare innovazione. Da questi due elementi «parte il nucleo dell’ecosistema, quindi noi mettiamo metodi-prodotto, loro territorio e imprese. «Mettendo insieme le due cose, arriviamo alle PMI, e cominciamo a portarle su questo terreno innovativo partendo da persone e luoghi familiari. Dunque, un modello di open innovation che si basa su una sinergia con il territorio, cercando «di far colloquiare meglio realtà che ci metterebbero due o tre anni» a compiere autonomamente lo stesso percorso.
Ci sono progetti pilota già partiti, entro fine anno e gennaio 2017, ci saranno quattro o cinque hub attivi: Sicilia (Palermo), Roma, Triveneto (con hub a Udine), Umbria, e Campania. Come si vede, si tratta di territori che escono dai confini delle mappe abituali dell’innovazione in Italia: «E’ un po’ la teoria Oceano blu», spiega Gilardi, riferendosi alla scelta di puntare su territori che ancora devono dimostrare il proprio potenziale. «C’è un grande territorio italiano che rischia di rimanere dimenticato, mentre invece ci sono in ogni territorio competenze da sviluppare. L’esperienza sul campo sta portando conferme: «ho riscontrato interesse, vivacità, intorno ai progetti».
Questo approccio, «molto improntato alla collaborazione», è considerato particolarmente adatto alle PMI, ad esempio per superare il limite dimensionale, piuttosto che quello relativo alla governance. «Le PMI italiane sono poco managerializzate e molto in mano all’imprenditore», che spesso è l’artefice del successo dell’impresa. «Sono quelli che chiamiamo campioni nascosti. Hanno già mercato, prodotti o servizi, intelligenza e redditività. Con un po’ di capitale e accelerazione potrebbero scalare molto di più. Non è solo internazionalizzare, è proprio un discorso di crescita dimensionale».
Spesso l’imprenditore è un po’ diffidente all’inizio. «Ma a noi non interessa fare mega progetti galattici, ma puntare su un grosso potenziale inespresso delle PMI, attraverso questo modo diverso di approcciarle». G2 continua anche a lavorare con la grande azienda, che può diventare un traino importante per tutto il territorio di riferimento. E alla fine, anche l‘investimento in startup può diventare leva di sviluppo. Strategie per riportare la finanza a un’economia reale, sana, che genera economia sul territorio e non solo speculazione.
Il rapporto fra PMI e startup quindi è considerato un driver di innovazione importante, «ma non basta mettere la PMI e la startup in una stanza perchè succeda qualcosa. L’azienda deve fare un minimo di lavoro su se stessa. L’innovazione non è un processo casuale, è un processo sistemico, per cui l’impresa deve creare un micro-sistema di innovazione, e stabilizzare un processo all’interno». In questo senso, la startup consente di lavorare a prodotti, servizi, mercati, in maniera economica e con meno rischio, ma bisogna procedere in modo corretto. Altrimenti, non si realizza innovazione, «come non si realizza trasferimento tecnologico fra centri di ricerca e imprese. In Italia, si pubblica tantissimo ma il trasferimento tecnologico si sperimenta poco. Noi lavoriamo anche su questo, insieme al progetto startup che diventa un trasferimento tecnologico, o di prodotto o servizi, e in un secondo tempo può diventare anche un PMI venture capital». In generale, G2 punta a lavorare in ottica collaborativa, anche con il mondo della ricerca, creando «valore di innovazione per l’azienda, facendo da traduttore culturale fra questi due mondi con una visione di business».