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Esistono degli “indici” di bancabilità delle imprese?

di Gessica Valsecchi

18 Novembre 2024 10:25

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La valutazione del merito creditizio delle imprese è basata sull’analisi dei dati e sul calcolo di indicatori che restituiscono l'affidabilità.

La valutazione del merito di creditizio delle imprese è un processo molto delicato attraverso il quale gli istituti di credito determinano la capacità di onorare i propri impegni finanziari in sede di concessione di nuovi finanziamenti o di rinnovo degli affidamenti in essere.

Ma quali sono gli elementi su cui le banche si focalizzano quando devono valutare la solvibilità di un’impresa?

Valutazione del merito creditizio

Sul punto ci vengono in aiuto le linee guida dell’EBA (European Banking Authority) del 2021 che raccomandano alle banche di valutare la capacità attuale e prospettica delle imprese di adempiere ai propri debiti finanziari attraverso la stima realistica e sostenibile del flusso di cassa che le medesime saranno in grado di generare dall’attività operativa nonché di porre enfasi sulla loro posizione finanziaria.

A tal proposito agli enti creditizi è stato richiesto di sviluppare procedure e standard qualitativi e quantitativi sia ai fini della concessione del credito che del relativo monitoraggio continuo tramite l’adozione di opportune metriche e indicatori finanziari specifici.

Capiamo quindi che la valutazione del merito creditizio si fonda su dati non solo storici bensì anche prospettici, derivanti da un piano finanziario che l’impresa deve fornire all’istituto di credito, e altresì sul calcolo di specifici indicatori che possono essere identificati come indici di “bancabilità”.

Cosa guardano le banche?

Quali sono quelli ritenuti più rilevanti? Senza pretesa di esaustività andiamo ad approfondire alcuni degli indicatori maggiormente utilizzati nella pratica quotidiana.

Rapporto PFN/EBITDA

Uno degli indicatori più diffusi in sede di valutazione del merito di credito delle imprese è il rapporto PFN/EBITDA.

L’indicatore si calcola ponendo al numeratore la posizione finanziaria netta dell’impresa (PFN), data dalla somma algebrica di debiti finanziari al netto delle disponibilità liquide e al denominatore l’EBITDA (Earnings Before Interests Taxes Depreciation and Amortization) che rappresenta il risultato globale realizzato dall’impresa, come differenza tra il valore della produzione e tutti i costi di natura operativa al lordo di ammortamenti e svalutazioni di immobilizzazioni.

In estrema sintesi se ci pensiamo il rapporto PFN/EBITDA può essere letto quale espressione di “quanti anni” un’azienda sarà in grado di rimborsare integralmente la propria esposizione finanziaria netta nei confronti del ceto bancario ove potesse dedicare integralmente l’EBITDA generato dalla propria attività al rimborso del debito finanziario. A titolo esemplificativo un rapporto PFN/EBITDA pari a 4 indica che l’impresa sarebbe potenzialmente in grado di ripagare il proprio debito finanziario in 4 anni tramite l’EBITDA prodotto. Naturalmente l’EBITDA non può essere dedicato integralmente al servizio del debito (si pensi solo al fatto che devono essere versate le imposte che si collocano “sotto” l’EBITDA nel conto economico); si tratta quindi di un indice che meramente approssima l’EBITDA al flusso di cassa per il debito.

Se ci pensiamo, maggiore è il valore restituito dal calcolo dell’indice e maggiore sarà il periodo di tempo necessario all’impresa per saldare il proprio indebitamento mentre al contrario una riduzione di tale valore è rappresentativa di una capacità di far fronte ai propri impegni finanziari in un minore orizzonte temporale.

Noti anche i limiti dell’indicatore, quale è il valore “magico” del rapporto PFN/EBITDA per essere valutati positivamente dalle banche?

Secondo quanto emerso in sede di Asset Quality Review, la revisione della qualità degli attivi promossa dalla BCE che mira a verificare la solidità delle maggiori istituzioni bancarie d’Europa, il valore del rapporto PFN/EBITDA non deve essere superiore a 6. Ciò significa che le imprese devono essere in grado di ripagare la propria esposizione finanziaria netta attraverso l’EBITDA generato in un orizzonte temporale inferiore a 6 anni per non essere considerate imprese instabili dal punto di vista finanziario e con elevate probabilità di default.

All’atto pratico però si osserva un’applicazione più restrittiva: gli istituti di credito solitamente collocano il limite dell’indicatore al valore di 5 o addirittura di 4.

 

Rapporto di indebitamento finanziario

Un altro indice molto attenzionato nel mondo bancario è il rapporto di indebitamento finanziario, un indice di solidità che pone a confronto la posizione finanziaria netta dell’impresa e il suo patrimonio netto, quest’ultimo detto anche Equity in termini anglosassoni.

Il rapporto PFN/Equity misura l’equilibrio fra l’ammontare del debito finanziario netto e l’importo del patrimonio netto; tanto maggiore è il valore restituito dall’indicatore e tanto più l’azienda predilige il ricorso a capitale di debito per finanziare la propria attività e i propri investimenti rispetto ai mezzi propri. In altri termini esprime quante volte è l’esposizione finanziaria netta a debito dell’impresa rispetto al capitale di spettanza e/o apportato dei soci.

Quale valore deve assumere tale indicatore per essere considerato ottimale? Nella prassi un valore inferiore a 2 è espressione di una situazione ottimale e di equilibrio mentre un valore superiore a 5 è indicatore di elevata rischiosità e altresì di eccessiva sottocapitalizzazione. In tal senso è bene monitorare la proporzione e quindi l’equilibrio tra le fonti di finanziamento ed evitare che vi sia una sproporzione tale da condurre l’indice a valori prossimi o addirittura superiori a 5.

DSCR

Concludiamo infine con uno degli indicatori più importati di sostenibilità del debito: il DSCR.

L’acronimo D.S.C.R. sta infatti per Debt Service Coverage Ratio ovvero “indice della copertura del servizio del debito”; non è raro poi che venga denominato A.D.S.C.R. ovvero Annual Debt Service Coverage Ratio. Il motivo è molto semplice: il DSCR si calcola annualmente e verifica gli equilibri fra flussi di cassa operativi prodotti in un anno e i flussi di cassa a servizio del debito da versarsi in un anno.

Il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) pone a verifica la capacità di rimborso del debito rapportando il cash flow operativo prodotto dall’impresa in un anno agli impegni finanziari assunti con gli intermediari finanziari. Tali impegni vengono considerati in termini di quota capitale ed interesse oggetto di rimborso nel singolo anno dell’orizzonte temporale considerato.

La formulazione del DSCR più diffusa (ma ce ne sono molte altre) e completa è la seguente:

Al numeratore si colloca il flusso di cassa operativo al netto delle imposte determinato come somma algebrica di:

  • Ebitda ovvero il risultato operativo derivante dall’attività aziendale al lordo di ammortamenti e svalutazioni
  • Variazione del capitale circolante non finanziata attraverso linee di smobilizzo dei crediti e linee di cassa a breve termine. Il capitale circolante è la differenza tra attività e passività correnti di stato patrimoniale;
  • Del flusso di imposte da versare.

Al denominatore si colloca il flusso di cassa per il servizio del debito annuo che è dato dalla somma di quota capitale e interessi annui di tutte le linee di finanziamento.

La logica sottostante il DSCR è molto efficace: in un’azienda sana il flusso di cassa generato dall’attività caratteristica aziendale deve essere in grado di far fronte agli impegni finanziari previsti nei successivi 12 mesi.

Il DSCR è uno dei pochi indici di bilancio squisitamente “finanziari”, in quanto mette a rapporto un flusso di cassa al numeratore (il cash flow operativo annuo) con un flusso di cassa al denominatore (il servizio del debito per capitale e interessi da versarsi nel medesimo anno).

Esiste anche per il DSCR un numero “magico”? Di norma tale indicatore dovrebbe assumere un valore almeno pari a 1 in modo che i flussi annui generati dall’attività siano in grado di coprire i flussi annui a servizio del debito finanziario. Tuttavia, nel mondo bancario possono essere contemplate anche altre soglie.

Nell’ambito del principio contabile IFRS 9 le banche hanno altresì l’obbligo di monitorare la qualità dei crediti concessi ai clienti e di individuare precocemente eventuali segnali di crisi attraverso degli appositi indicatori predittivi, detti Trigger, tra cui appare il DSCR. Alcuni istituti di credito hanno stabilito che:

  • Un calo dell’indice DSCR sotto la soglia dell’1,25 ma maggiore di 1,1 dà origine a una procedura di rivalutazione del credito (impairment) con conseguente obbligo di riclassificazione del credito da performing loan (Stage 1) a underperforming loan (Stage 2). Lo stage 2 è una nuova categoria di qualità del credito introdotta dall’IFRS9; si tratta dei crediti non deteriorati ma con evidenti segnali di difficoltà incipiente.
  • Un valore dell’indice inferiore ad 1,1 porta il credito ad essere riclassificato come non-performing loan (Stage 3) e quindi come credito deteriorato.

Ergo per essere valutati positivamente è necessario che il DSCR superi il livello di 1,25!

Abbiamo appreso che il processo della valutazione del merito di credito è fondato sull’analisi di dati storici ma soprattutto prognostici e altresì sul calcolo di indicatori in grado di restituire sinteticamente un giudizio di affidabilità dell’impresa esaminata.

Ciò che le imprese devono tenere ben presente è che tali indicatori sono, tuttavia, frutto dei dati che le medesime forniscono agli intermediari del credito in sede di valutazione di una richiesta di finanziamento e pertanto spetta a loro redigere e fornire un piano finanziario che dimostri capacità di adempiere alle proprie obbligazioni, soprattutto a fronte dei nuovi obblighi imposti dal Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).