L’addendum alle linee guida della Vigilanza BCE, pubblicato lo scorso mese di marzo, ha introdotto nuove disposizioni relativamente alla copertura, da parte delle banche, dei crediti deteriorati, a partire dal primo aprile 2018, anche se riconducibili ad erogazioni fatte in anni passati. Tali disposizioni, che verranno dalla Vigilanza bancaria discusse con le singole banche che si discosteranno dalle aspettative sugli accantonamenti indicate nell’addendum in questione, prevedono la copertura dei crediti deteriorati non garantiti entro due anni e di quelli garantiti in un periodo massimo di 7 anni.
I crediti deteriorati vengono classificati in tre categorie:
- la prima riguarda posizioni scadute da almeno 90 giorni di importo rilevante, pari ad almeno il 5% dell’esposizione da misurare sulla singola linea di credito e sull’importo ancora dovuto;
- nella seconda categoria rientrano le inadempienze probabili, nella prassi Unlikely to pay (UTP), per le quali la banca, a fronte di proprie valutazioni, rileva un rischio in capo al debitore che può sussistere indipendentemente dallo scaduto; le linee guida della BCE indicano fattispecie che possono costituire segnali di allarme in tal senso, ma sta alle singole policy delle banche la relativa definizione;
- infine ci sono le sofferenze, nella prassi Non performing loans (NPL), che riguardano quelle situazioni in cui il debitore è insolvente e il rapporto cessa. Una categoria trasversale è costituita, inoltre, da quei crediti oggetto di concessioni/tolleranza che determinano modifiche al contratto a favore del debitore al fine di evitare il deterioramento della posizione.
È opportuno sottolineare che la questione dei crediti deteriorati del sistema bancario è strettamente correlata al concetto di crisi d’impresa, rappresentando spesso una porzione abbondante del debito dell’impresa stessa. Il credito deteriorato si sostanzia, pertanto, in una nozione tecnica che non riguarda solo gli NPL, crediti classificati a sofferenza e passati a funzioni che procedono al suo recupero, ma anche gli UTP, ovvero quei crediti che presentano anomalie tali da rendere difficoltoso il pagamento secondo le tempistiche originariamente convenute.
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A seguito della novella in questione, viene modificato sostanzialmente il modo in cui le banche procederanno alla gestione del credito, appesantendo inevitabilmente il loro bilancio. Di converso, le procedure di recupero, ad esempio dei crediti di natura chirografaria, hanno e, almeno nel medio periodo, avranno delle tempistiche significativamente maggiori rispetto ai due anni entro i quali si prevede la svalutazione del 100%. A fronte di tale solerzia richiesta dalla Vigilanza BCE si riscontra, infatti, la cronica lentezza delle procedure giudiziali di recupero dei crediti, in particolar modo nell’ambito delle liquidazioni giudiziali (la nuova denominazione che assumeranno le procedure fallimentari per effetto della Riforma Rordorf), e dei concordati preventivi, fortemente penalizzati dall’ultima riforma (Legge 155/2017) ancorché nella bozza di decreto che scriverà il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza sembrerebbero sussistere aspetti che semplificano e rinvigoriscono l’istituto concordatario rispetto a quanto licenziato dalla Commissione Rordorf, per non parlare delle imprevedibili tempistiche delle aste immobiliari.
È, dunque, indispensabile che le nostre procedure cambino consentendo di associare tempi ragionevoli alle attività di recupero.
Sotto tale profilo, in realtà, neanche nella Riforma Rordorf è stato affrontato con decisione il protrarsi delle tempistiche delle liquidazioni giudiziali che, verosimilmente, doveva essere quello maggiormente aggredito. Infatti i fallimenti, che hanno avuto un picco di 15.000 casi nel 2014, forse torneranno nel medio periodo a un livello fisiologico, stimato in 8/9 mila nuove procedure per anno, ma costituiranno sempre un numero assolutamente rilevante e soprattutto molto maggiore rispetto ai concordati. Né è lecito immaginare che gli accordi di ristrutturazione del debito aiutino a colmare tale differenza. È quindi nelle liquidazioni giudiziali che bisogna intervenire auspicabilmente già nell’ambito delle norme attuative di cui sembrerebbe imminente l’emanazione.
In tema di inadempienze probabili ovvero degli UTP, è opportuno chiarire l’ambito di manifestazione. Infatti esse sono collocabili in una zona grigia, di non facile delimitazione, definibile come la fase in cui il credito comincia a mostrare segni di anomalia tali da rendere improbabile l’adempimento alle scadenze contrattualmente concordate. L’UTP si colloca tipicamente in una situazione viva dove esiste ancora un debitore che sta operando e sta lottando per sopravvivere. Il tema è emerso con tutta evidenza, ad esempio, nella vicenda delle banche venete dove Intesa ha trasferito nel proprio bilancio i crediti “buoni” lasciando nella Liquidazione Coatta Amministrativa non solo il credito in sofferenza, ma anche le inadempienze probabili.
Quanto sin qui rappresentato può aiutare a comprendere la motivazione per cui tutte le banche italiane stanno, dunque, cercando di liberarsi del credito deteriorato sia per ragioni operative sia per l’indirizzo imposto dal Regolatore, anche se prociclico rispetto all’andamento dell’economia.
Per evitare che le banche italiane, a seguito delle citate disposizioni e dell’accurata vigilanza BCE, riducano l’erogazione alle imprese e alle famiglie, è necessario intervenire sulla velocità della giustizia attraverso un’ulteriore rivisitazione della normativa e su una gestione virtuosa dei crediti da parte delle stesse banche.
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Articolo di Saverio Signori, fondatore di Studio Signori.