Tra gli effetti della riforma delle pensioni avviata con la manovra finanziaria 2010 e in via di ulteriori modifiche con la manovra 2011 e la imminente delega fiscale, oltre al crollo delle erogazioni INPS, ci sarà l’ammontare dell’assegno pensionistico che toccherà ai giovani d’oggi: non si scenderà sotto il 57% dell’ultimo stipendio per i parasubordinati e 70% per i lavoratori dipendenti, a differenza di quanto ipotizzato finora (circa metà).
Il calcolo tiene in considerazione un fattore determinante: l’innalzamento dell’età minima pensionabile previsto dalla riforma delle pensioni inserita nell’ultima manovra finanziaria.
Il calcolo della pensione con sistema contributivo, in vigore automaticamente per chi è entrato nel mondo del lavoro successivamente al 1995, fa sì che tanto più a lungo si lavora, più anni di contributi si versano e più alto sarà l’importo della pensione che si percepirà una volta maturati i requisiti.
Fino a qualche tempo fa era possibile percepire una pensione di anzianità al raggiungimento dei 58-60 anni di età con 35 anni di contributi, oppure una pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne. Per effetto cumulato di finestra mobile, aumento dell’età pensionabile per le donne e adeguamento alle speranze di vita, a chi inizia a lavorare oggi nel 2046 per la prima saranno richiesti i 65 anni e 3 mesi di età (35 di contributi) e per la seconda 69 anni e 3 mesi.
E proprio il passaggio immediato al calcolo contributivo è al centro del dibattito al governo, dove si ipotizza l’eliminazione del calcolo retributivo a favore della forma del pro-rata. Questa una delle correzioni alla riforma previdenziale che si vorrebbero inserire in una delega sull’assistenza attualmente all’esame del Parlamento.
Gli altri prevedono l’abolizione dei trattamenti anticipati, l’anticipo al 2012 e non più dal 2013 dell’innalzamento dei requisiti alla cosiddetta “quota 97” (somma di età anagrafica e contributiva) e l’eliminazione della pensione di anzianità.