Competitività: la Ue boccia le imprese italiane, Tajani rilancia sulle Pmi

di Noemi Ricci

Pubblicato 17 Ottobre 2011
Aggiornato 27 Aprile 2014 17:11

La Ue boccia la competitività delle imprese italiane, le normative sul lavoro e la politica industriale, ma Tajani difende il potenziale delle Pmi.

La UE ha bocciato l’Italia nei test sulla competitività nella Comunicazione “Politica industriale: rafforzare la competitività”. A rendere il nostro Paese tra i peggiori in Europa per sostegno al lavoro, imprenditorialità e sviluppo produttivo sono i soliti ostacoli: leggi, permessi e regolamenti sul lavoro italiani. Il carico di oneri legislativi che pesa sulle nostre imprese è addirittura peggiore di quello registrato in Grecia e nel Portogallo.

L’Italia si conferma dunque maglia nera tra i 27 Paesi Membri nel Rapporto annuale sulla competitività nella Ue. Illustrando i risultati, il vicepresidente e commissario all’Industria Antonio Tajani ha fatto presente come le Pmi italiane siano costrette a pagare le bollette più salate in Europa per l’elettricità per colpa delle normative troppo complicate e delle tecnologie poco efficienti. Peggio di noi fanno solo Cipro e Malta.

Tutti elementi ammazza crescita, come sottolineato da Tajani: «pur mantenendo una base industriale diversificata e per certi versi competitiva a livello globale, il potenziale complessivo di crescita dell’Italia è ragione di preoccupazione».

Considerando l’indice della business friendliness (capacità di un Paese di garantire norme a sostegno della crescita e della spinta imprenditoriale), l’Italia non supera i 2,5 punti mentre ci sono Paesi in Europa che stanno sopra una quota convenzionale di 3,5. A frenare lo sviluppo competitivo dell’Italia è soprattutto la scarsa innovazione presente nelle nostre imprese: a malapena il 55% delle aziende italiane può essere definito “innovativo” contro l’80% di quelle tedesche. E proprio nel sostegno all’innovazione delle Pmi si nasconde per Tajani il segreto del successo: l’Italia deve mettere «le imprese e il loro potenziale al centro dell’azione politica».

E l’Italia possiede tutte le potenzialità per emergere. Nonostante sia stata collocata nel gruppo che possiede tecnologie meno avanzate assieme a Grecia e Portogallo, infatti, all’Italia viene riconosciuta la presenza di industrie molto competitive. «In questo stesso gruppo l’Italia si caratterizza per il fatto di avere una più grande qualità e capacità di innovazione», ha sottolineato i commissario UE.

Fondamentalmente Bruxelles riconosce all’Italia di aver attuato negli ultimi anni «qualche trasformazione nel tessuto industriale, non tanto in termini di specializzazione relativa quanto di innalzamento sulla scala della qualità», però «molto di più sarebbe richiesto in un certo numero di settori, come nella promozione dell’innovazione ecologica, nell’accrescere la competizione sui mercati dei servizi, o nell’incrementare la crescita dimensionale delle società».

La Commissione Europea individua tra le diverse problematiche che affliggono il nostro Paese alcuni interventi di politica gestionale, per certi versi anche degli «sforzi significativi» ma che «appaiono non coordinati e frammentari mentre alcune misure promettenti rimangono realizzate solo in parte o sono ritardate dalla mancanza di risorse, o dalle complesse procedure e pratiche decisionali».

Tutto questo svantaggia le nostre imprese, rispetto a quelle degli altri Paesi dell’UE, a maggior ragione consideranto che nel contesto europeo si registra in generale una ripresa lenta e fragile e il sistema economico risulta caratterizzato da un certo pessimismo che pone l’Europa a rischio di una flessione della crescita.