Pmi italiane all’estero: internazionalizzazione e opportunità

di Nicola Santangelo

Pubblicato 16 Settembre 2011
Aggiornato 21 Novembre 2013 14:07

Per le aziende interessate ad investire all'estero si segnala il Brasile. Casi di successo anche in Pakistan, Repubblica Dominicana e Guatemala. In Europa, occhio ai regimi fiscali.

Nell’ultimo periodo ha preso sempre più importanza il contratto di rete, lo strumento cardine che aiuta le Pmi a crescere. Tuttavia è bene evidenziare che in qualche caso il contratto di rete è insufficiente e le società devono individuare forme alternative di aggregazione. Non sempre, infatti, la crescita arriva con la rete. Qualche volta è l’impresa che, dotata di buona volontà, la crescita deve andarsela a cercare. Anche puntando all’estero.

Purtroppo le Pmi di oggi sono convinte che sia sufficiente riuscire a vendere in mercati esteri, magari aiutati anche dal Web, per essere in grado di sfruttare le opportunità del mercato. E’, invece, importante studiare una vera e propria politica di internazionalizzazione. In molti casi il limite è degli imprenditori, la cui mentalità non è predisposta alla globalizzazione e ad aprirsi ai mercati esteri.

La prima cosa che l’imprenditore dovrà considerare sono le tasse. A dire il vero in Europa non c’è Paese che abbia aliquote e sistemi fiscali simili a quelli di un’altra nazione. In Islanda, ad esempio, le imprese hanno una tassazione del 12,50%. Una sorta di paradiso fiscale che insieme a Lussemburgo e Svizzera rappresenta una interessante alternativa all’Italia. Attenzione, però, alla Svizzera poiché il sistema fiscale prevede, oltre all’imposta federale dell’8,5% corrisposta sull’utile netto per le società e del 4,25% per gli altri enti, anche le imposte cantonali. Per questo occorre ponderare attentamente la scelta del “cantone giusto”. In Gran Bretagna, invece, le società con utili inferiori a 300mila sterline ricevono un’imposizione fiscale del 19%. Si passa al 30% della Spagna e al 34% della Francia anche se esistono, comunque, aliquote ridotte per le imprese che non superano specifici limiti. Stiamo parlando di valori che, ovviamente, creano incredulità se confrontati al prelievo fiscale italiano, in molti casi abbastanza vicino al 50%.

Opportunità di internazionalizzazione

All’interno del panorama mondiale la location attualmente più fertile per le imprese italiane è il Brasile anche grazie all’emigrazione dei primi del ‘900. Si incontrano grandi società come Pirelli o Telecom ma anche banche o imprese di costruzione nonché centinaia di Pmi che hanno trasferito impianti produttivi e uffici in territorio carioca. Tutto questo per un totale di circa 75.000 dipendenti e ricavi complessivi che sfiorano i 20 miliardi. Giusto per fare un esempio, nel primo trimestre 2011, la Telecom che in Brasile realizza 6 miliardi di ricavi e impiega 10.000 lavoratori, ha visto crescere i propri ricavi brasiliani del 13,8% contro il -7,6% di quelli nazionali.

L’interesse italiano a investire in territorio brasiliano aumenta continuamente anche in vista dei prossimi mondiali di calcio previsti nel 2014 e delle Olimpiadi a Rio previste nel 2016. Ma non è solo questo: la presenza di Pmi, anche al di fuori della capitale o dello stato di Rio, è sostenuta dai forti incentivi fiscali messi a punto dal governo dell’ex presidente Lula e confermate dal successore Dilma Rousseff il cui obiettivo è quello di far decollare anche le aree meno avanzate del Paese.

Prima della manovra finanziaria che ne ha decretato la soppressione, le imprese italiane potevano contare sullICE – Istituto nazionale per il Commercio Estero, che sviluppava, agevolava e promuoveva i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero. Da ora in poi tutte le competenze saranno distribuite tra i diversi ministeri.

Casi di successo esteri

Al di fuori del contesto europeo, degni di menzione sono il Pakistan, la Repubblica Dominicana e il Guatemala.

Il Pakistan ha una pressione fiscale fra le più ridotte al mondo tuttavia il governo ha avviato uno studio volto a introdurre significativi cambiamenti nei meccanismi di tassazione al fine di incrementarne il livello. Costituisce base imponibile il reddito derivante dall’esercizio dell’attività al netto di deduzioni e detrazioni. Dal 1990 è in vigore l’Iva con aliquota pari al 17% sulla cessione di beni e prestazioni di servizi ad eccezione dei prodotti in ferro e acciaio la cui aliquota è del 18,5% e dei prodotti chimici e della carta che scontano l’aliquota del 21%. L’Iva sulle vendite può essere detratta dall’Iva sugli acquisti.

Nella Repubblica Dominicana il reddito imponibile è dato dalla differenza tra reddito lordo e costi sostenuti per il suo conseguimento. Uniche eccezioni per le compagnie di trasporto da e per l’estero e per le società di assicurazioni per le quali si presume un reddito pari al 10% dei ricavi e dei premi nonché per le imprese di comunicazione e per i distributori cinematografici di pellicole straniere per i quali si considera un reddito pari al 15% dei ricavi. L’imposta si calcola applicando un’aliquota del 25%. Sulle transazioni e importazioni di beni, eccetto medicinali, libri e riviste, servizi educativi, sanitari e finanziari, trasporti e affitti, grava l’ITBIS, un’imposta simile alla nostra Iva, pari al 16% del valore del bene ceduto. Per le importazioni l’aliquota è pari a zero. Sul totale dell’attivo grava, inoltre, un’imposta pari all’1% del valore totale.

In Guatemala la base imponibile è data dal totale dei ricavi sui quali viene applicata un’aliquota del 5%. Coloro che svolgono attività commerciale hanno la facoltà di optare per un regime fiscale alternativo nel quale i costi sostenuti per la produzione e il mantenimento del reddito si deducono dai ricavi. Su tale risultato si calcola l’imposta del 31%. La vendita di beni mobili e immobili nonché le prestazioni di servizi, le importazioni, le locazioni e le donazioni sono soggette ad Iva con aliquota del 12%.