Società di comodo: trattamento fiscale
La recente introduzione di norme anti-elusione fiscale ha modificato profondamente la giurisprudenza delle società di comodo stabilita della legge n. 724 del 1994, ovvero di quelle “società senza impresa” costituite al fine di gestire asset patrimoniali appartenenti ad un socio ma utilizzati a scopi professionali. Le società di comodo non sottendono la realizzazione di attività d’impresa ma esclusivamente il godimento di beni, fruttando tutti i benefici derivanti da una imposizione fiscale meno onerosa.
L’acquisto di un immobile intestato a una società di comodo, come investimento privato, comporta ad esempio evidenti vantaggi fiscali: consente il recupero IVA, favorisce la riduzione del valore dell’affitto con i costi inerenti all’attività d’impresa, come oneri finanziari e di gestione e ammortamenti.
Le società non operative, per essere tali, devono aver conseguito ricavi, incrementi delle rimanenze e proventi ordinari in misura inferiore ad un valore minimo quantificato in maniera forfettaria.
I recenti interventi legislativi attuati dalla manovra finanziaria hanno però inasprito la norma, conferendo maggiori poteri all’Agenzia delle Entrate e innalzando le percentuali utilizzate in sede di quantificazione dei ricavi e del reddito imponibile, estendendo gli effetti ai fini IRAP e inserendo limitazioni a riporto delle perdite fiscali e al recupero del credito IVA.
Esclusione dai benefici
La normativa si applica in base alla forma giuridica del soggetto economico in questione, escludendo le società semplici per le quali è impossibile conseguire reddito d’impresa, e includendo quindi società di capitali e di persone, oltre a società ed enti di qualsiasi tipologia a patto che abbiano non necessariamente la residenza, ma almeno una stabile organizzazione sul territorio nazionale. Per quanto riguarda i soggetti esclusi, la normativa non è precisa, ma le fattispecie non menzionate sono evidentemente escluse, tra queste imprenditori individuali, società consortili e cooperative.
Lo stesso vale per chi si trova in particolari condizioni per le quali, pur disponendo di caratteristiche che consentirebbero l ‘ applicazione della legge sulle società di comodo, ne sono esclusi: tra questi i soggetti obbligati a costituirsi in società di capitali a causa della loro attività, i soggetti che si trovano nel primo periodo d ‘ imposta, le società controllanti altre società quotate, le società partecipate da enti pubblici nella misura minima del 20% del capitale sociale e le società congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.
Altra causa di esclusione degna di nota è quella delle società che possiedono partecipazioni in società considerate non di comodo o escluse dalla normativa per l’accoglimento dell’istanza dell’interpello applicativo.
Test di operatività
Tutti i soggetti che non rientrano nei casi elencati dovranno superare un test di operatività confrontando le componenti positive di reddito effettivamente realizzate con i redditi presunti, attraverso una media triennale tra il periodo d’imposta oggetto di analisi e i due precedenti.
La giurisprudenza, infatti, identifica come società di comodo quelle che hanno conseguito nel triennio un ammontare medio di ricavi, di incrementi delle rimanenze e di proventi ordinari risultanti dal conto economico, inferiore alla somma degli importi ottenuti applicando il 2% al valore medio delle partecipazioni più i crediti nati da operazioni di finanziamento; il 6% al valore medio delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e navi, diminuita al 5% per gli immobili A/10, al 4% per quelli a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti, all’1% per gli immobili situati in comuni con una popolazione inferiore ai 1.000 abitanti; il 15% al valore medio delle altre immobilizzazioni.
Confrontando il valore medio dei ricavi effettivi con quello medio dei ricavi presuntivi la normativa stabilisce che se i ricavi effettivi superano quelli presuntivi la società è operativa, la disciplina non si applica e il reddito è oggetto a imposizione. Viceversa se i ricavi effettivi sono inferiori a quelli presuntivi la società è di comodo, e quindi la base impositiva ai fini Ires non può essere inferiore a un valore che viene determinato in maniera forfettaria.
Nel caso di una società non operativa vale l’obbligo di quantificare un reddito minimo che, se superiore a quello effettivo o nel caso di perdita fiscale, sarà soggetto ad imposizione fiscale; in caso contrario sarà il reddito effettivo ad essere tassato.
Il reddito minimo sarà quantificato attraverso la sommatoria di alcuni valori, e cioè: l’1,5% del valore delle partecipazioni (comprese quelle non immobilizzate) con l’aggiunta dei crediti non commerciali; il 4,75% del valore delle immobilizzazioni e delle navi ridotto al 3% per gli immobili con destinazione abitativa acquistati o rivalutati nel triennio in oggetto, al 4% nel caso di immobili di categoria A/10, allo 0,9% per gli immobili insistenti su comuni con una popolazione inferiore ai 1.000 abitanti; il 12% del valore delle altre immobilizzazioni.
Se una società viene considerata di comodo, oltre a dover dichiarare un imponibile minimo che può anche non essere effettivamente realizzato, dovrà dichiarare un valore minimo di produzione netta, dato dal reddito quantificato per l’IRES più le retribuzioni sostenute per il personale dipendente, i compensi destinati ai lavoratori occasionali e ai collaboratori e gli interessi passivi, somme che normalmente sono indeducibili, sottraendo le eventuali agevolazioni fiscali. Il valore ottenuto, qualora superiore al valore della produzione dell’azienda, sarà tassato.
I soggetti non operativi dovranno utilizzare le perdite fiscali pregresse solo per la quota compresa tra l’eccedenza del reddito effettivo su quello minimo, con l’obbligo di dichiarare un imponibile che non potrà mai essere inferiore a quello presunto con la conseguente dilazione del residuo delle perdite non utilizzate.
Per quanto riguarda l’IVA la gestione del saldo positivo annuale dell’imposta sarà limitata: come definito dal comma 4 dell’art. 30 della legge 724/1994 non sarà possibile il rimborso né la compensazione con altre imposte del credito IVA maturato quando la società non era operativa, mentre resta valida solo la compensazione verticale che riguarda le liquidazioni periodiche dell’Iva.
Inoltre, se una società non è operativa per tre esercizi consecutivi la società dovrà confrontare ogni periodo d’imposta il totale del volume d’affari realizzato con i ricavi presuntivi, del valore delle rimanenze e dei proventi ordinari, perdendo quindi la possibilità di accumulare credito IVA se per i tre esercizi il volume d’affari sarà inferiore alla somma determinata forfettariamente.