Il diritto ai rimborsi IVA spetta solo se la richiesta viene fatta dal contribuente entro il termine di due anni, anche dopo il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea del 2006 sull’armonizzazione delle norme IVA a livello europeo: lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 5014/2015.
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Il caso riguarda una società che ha richiesto nel settembre del 2006 un rimborso IVA relativo al 2002, ricevendo risposta negativa perchè l’istanza è stata presentata oltre il termine massimo di due anni previsto per la richiesta tardiva di rimborsi IVA. Questo termine resta valido anche se il rimborso riguarda un versamento IVA successivamente dichiarato illegittimo da una nuova norma. Nel caso specifico, il contribuente faceva valere il contrasto con il diritto comunitario rispetto all’IVA versata in eccesso in base a una sentenza della Corte di Giustizia Europea (14 settembre 2006) che fissa i paletti del potere di uno stato nell’escludere alcuni beni dal regime di detrazione IVA. Forte di questa sentenza comunitaria, l’impresa ha presentato istanza di rimborso IVA su alcuni acquisti effettuati, come detto, nel 2002, dunque oltre il limite consentito di due anni. La Cassazione ha stabilito che una sentenza comunitaria non può in alcun modo agire sui termini di rimborso già scaduti, a prescindere dal merito, in considerazione di esigenze di certezza delle situazioni giuridiche, a maggior ragione valide in materia fiscale.
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Sottolineiamo che, in base a un’altra recente sentenza di Cassazione (5024 del 2015), nel caso in cui invece il rimborso IVA sia stato regolarmente richiesto in dichiarazione dei redditi, ma senza poi inoltrare successiva domanda, il termine di decadenza corretto da prendere in considerazione è quello di dieci anni, in base all‘articolo 2033 del codice civile, e non quello biennale previsto dall’articolo 21, comma 2, decreto legislativo 546/92. Ci sono poi altre sentenza di Cassazione che prevedono sempre il termine decennale e non quello biennale, nel caso di cessazione dell’attività della società. (Fonte: Corte di Cassazione con sentenza 5014/2015).