Da una parte, il decreto attuativo del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti, dall’altra quello che contiene la Riforma dei Contratti: il combinato di questi due provvedimenti fissa di fatto nuove regole sulla trasformazione dei contratti, soprattutto perché vengono abolite alcune forme di lavoro parasubordinato (come le collaborazioni coordinate e continuative e a progetto). Si prosegue, in pratica, su un sentiero almeno in parte già tracciato con la Riforma Fornero dell’estate 2012 (Legge 92/2012), che aveva stretto in particolare i paletti relativi alle Partite IVA. Vediamo una sintesi delle nuove regole sulla trasformazione dei contratti a partire dal 2015 in base al Jobs Act.
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Qui il riferimento principale della Riforma è il decreto approvato dal Consiglio dei ministri dello scorso 20 febbraio: “Schema di decreto legislativo recante il testo organico delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, numero 183“. Attenzione, si tratta di un Dlsg applicativo di una legge delega, che quindi dopo l’approvazione del Governo deve passare attraverso il parere delle commissioni parlamentari e della Conferenza stato regioni, un passaggio che si preveda possa durare un paio di mesi. Solo al termine di questo iter, il decreto sarà operativo. Si può aggiungere che questo percorso parlamentare è fondamentalmente consultivo, nel senso che comunque trattandosi di una delega l’ultima parola spetta comunque all’Esecutivo. Significa che difficilmente ci saranno modifiche sostanziali (ad esempio, sono stati sostanzialmente confermati gli impianti dei due decreti attuativi del Jobs Act che hanno terminato l’iter, quello sul contratto a tutele crescenti e quello sulla Riforma ammortizzatori sociali, entrambi pubblicati in Gazzetta Ufficiale).
Contratti a progetto
Fatta questa premessa, vediamo cosa prevede il decreto. Il riferimento preciso è l’articolo 47 del decreto sulla Riforma dei contratti, in base al quale a partire dal primo gennaio 2016 «si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Ci sono delle eccezioni, ovvero:
- collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore: singifica che sindacati e imprese possono firmare accordi che salvaguardano alcune forme di collaborazione coordinata e continuativa (è il caso, ad esempio, dei call center);
- collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni con iscrizione all’albo;
- attività dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
- prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, disciplinati dall’articolo 90 della legge 289/2002;
- l’intero settore della pubblica amministrazione fino al gennaio 2017.
Dunque, per il resto, non sono più consentite le collaborazioni a progetto. L’articolo 49 prevede che i contratti di collaborazione già in essere possano proseguire fino a scadenza.
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Beneficio trasformazione dei contratti
L’articolo 48 prevede norme per favorire la trasformazione di questi contratti in tempo indeterminato. In particolare, «i datori di lavoro privati che procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di persone titolari di partita IVA» hanno il seguente beneficio: l’estinzione di tutte le violazioni contributive, assicurative e fiscali connesse all’eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro precedente. Una sorta di sanatoria applicata a imprese e datori di lavoro che trasformano autonomamente i contratti.
Attenzione però, non si applica l’agevolazione nel caso in cui ci sia già una violazione accertata, quindi non si possono sanare posizioni su cui è già interventuo un controllo con le relative consguenze.
Ci sono una serie di requisti procedurali da rispettare nella trasformazione di questi contratti, sempre previsti dall’articolo 48 del decreto sullòa trasformazione dei contratti:
- il lavoratore sottoscrive, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, del codice civile, e all’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003 (come DTL, direzioni territoriali del lavoro, enti bilaterali, ministero del Lavoro, consigli provinciali dei Conuslenti del Lavoro);
- nei 12 mesi successivi all’assunzione, i datori di lavoro non possono recedere dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo: non si può quindi prima assumere un collaboratore per regolarizzare la posizione ed evitare le sanzioni, e poi subito dopo licenziarlo. In questi casi, in pratica, c’è una clausola di illicenziabilità di un anno, che se non rispettata fa perdere il beneficio (e quindi, potenzialmente, aprire un contenzioso anche per il pregresso).
La precisazione è importante perché il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, che si applica a tutte le assunzini effettuate dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto 23/2015), non prevede più le precedenti protezioni dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, limitando fortemente la possibilità di reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato.
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Altri casi di trasformazione dei contratti
Per il resto, non ci sono nelle deleghe del Jobs Act indicazioni precise al di fuori dell’agevolazione sopra prevista. La certezza è che da quando entrerà in vigore il decreto sulla trasformazione dei contratti (per ora non operativo) non si potranno più stipulare contratti di collaborazione a progetto. In teoria, per quelli in essere, le aziende potrebbero aspettare che scadano e non rinnovarli: qui, entra però in gioco la Riforma Fornero, che metteva paletti precisi ai contratti a progetto: fra gli altri, il contratto deve essere collegato a un progetto specifico, gestito autonomamente dal collaboratore, funzionalmente collegato a un determinato risultato finale, che non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente e non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito, e non può comunque essere inferiore ai minimi stabiliti per le stesse mansioni dai contratti di apprtenenza dei lavoratori subordinati.
In pratica, lasciar scadere un contratto a progetto, senza rinnovarlo, comporta il rischio di cause nel caso in cui ci fossero delle incongruenze rispetto a quanto appena esposto. Certo, l’azienda può scegliere che tipo di nuovo contratto stipulare sulla base di queanto previsto dal Jobs Act. Potrebbe, ad esempio, decidere di stipulare un contratto a termine.
Sottolineiamo a questo proposito che l’obiettivo dichiarato del Governo è quello di promuovere il contratto a tempo indeterminato, il quale per questo 2015 è incentivato dalla Legge di Stabilità (con decontrabuzione contributiva per tre anni).
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Partite IVA
La questione delle false partite IVA è risolta sempre dalla legge Fornero del 2012, che regolamenta con precisione i casi in cui scatta la presunzione di subordinazione. La riforma prevedeva una periodo intermedio, che dava alle aziende il tempo di mettersi in regola, che è scaduto il 31 dicembre 2014. Il contratto a partita IVA irregolare andava trasformato in collaborazione coordinata e continuativa, nei casi di compatibilità con la normativa relativa a questo contratto, appena descritta, oppure in contratto dipendente a tempo indeterminato. Anche qui, ci sono delle eccezioni: professionisti iscritti all’Albo, lavoratori con competenze teoriche elevate o particolari capacità tecnico-pratiche, titolari di reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile previdenziale (erano 19.395 euro per il 2014).