Il Fisco può effettuare indagini bancarie anche su conti intestati a terzi, ma che si ritiene abbiano rilevanza per il contribuente su cui è in corso l’accertamento (che può essere un’azienda), è il contribuente che dovrà eventualmente dimostrare che le somme contestate non sono tassabili: lo stabilisce una sentenza di Cassazione, la numero 1236 del 22 gennaio 2015, che rappresenta un precedente sul fronte dell’onere della prova in caso di contestazioni relative al reddito d’impresa.
=> Redditometro, le spese d’impresa e dei professionisti
La Suprema Corte ha deliberato sul caso di un’impresa, in relazione ad operazioni senza fattura, indebita registrazione di costi non inerenti, omessa dichiarazione di ricavi a titolo di canoni di locazione per la concessione in gestione di un ristorante. Una serie di illeciti fiscali, che il Fisco ha affrontato svolgendo anche indagini bancarie sui conti correnti dei soci della società.
=> Fisco, come difendersi dagli accertamenti
La Corte di Cassazione ha stabilito che questo è possibile, ribadendo così un orientamento già emerso in tema di imposte sul reddito d’impresa, per determinare il quale bisogna considerare ricavi i prelevamenti e i versamenti sul conto corrente, a meno che non siano inseriti in contabilità come pagamenti. In questo caso, in materia sussiste l’inversione dell’onere della prova, è quindi il contribuente che deve dimostrare la lecita provenienza delle somme contestate.
=> Evitare liti e contenziosi fiscali, guida agli strumenti
E «non assume particolare rilievo», proseguono i giudici, nemmeno la circostanza che «alcuni dei conti correnti bancari oggetto di indagine non fossero intestati direttamente alla società contribuente ma ai suoi soci», perché l’ufficio finanziario può procedere ad accertamenti «anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente».