Nel licenziamento disciplinare il principio di immediatezza per la contestazione può essere interpretato in senso relativo: l’accertamento e valutazione dei fatti potrebbero infatti richiedere un lasso di tempo variabile. Lo ha sancito la sentenza n. 13955 del 19 giugno 2014 emessa dalla Corte di Cassazione, che si è espressa in merito a quanto disposto dallo Statuto dei Lavoratori (art. 7 d.p.r. 300/1970), secondo cui la contestazione deve rispettare queste caratteristiche: tempestività (rispetto alla conoscenza del fatto); specificità; immutabilità; forma scritta.
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Il caso
La sentenza riguarda il caso specifico di un dipendente di Poste Italiane accusato di rapina e licenziato dopo sette anni di sospensione cautelare. La Corte d’Appello di Napoli ha ribaltato il giudizio di primo grado che aveva imposto il reintegro del lavoratore, dando ragione al datore di lavoro: secondo i giudici, nel licenziamento non risultava violato il principio della tempestività:
«stante la concomitanza di vari fattori, quali il perdurare della sospensione cautelare del lavoratore dal servizio adottata a seguito del suo arresto, il processo di trasformazione aziendale della datrice di lavoro ed i tempi di attesa del procedimento penale pendente […]. Inoltre, il licenziamento doveva ritenersi giustificato, atteso che i profili soggettivi ed oggettivi che integravano i gravi fatti costituenti reato, per i quali quest’ultimo [il dipendente] era stato rinviato a giudizio e condannato in sede penale, rappresentavano anche in sede civile i requisiti materiali e psicologici integranti gli illeciti disciplinari posti a base dell’atto di recesso».
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Secondo gli ermellini, l’intervallo temporale fra intimazione del licenziamento e accadimenti contestati assume rilievo solo se può indicare una voluta mancanza di interesse da parte del datore di lavoro: in questo specifico caso, Poste Italiane ha voluto accertare i fatti incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro, violazioni talmente gravi da minare il rapporto fiduciario col dipendente.
Per approfondimenti: Cassazione – sentenza n. 13955 del 19 giugno 2014.