Età pensionabile nella UE: secondo l’ultimo rapporto OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) “Pensions at a glance 2011” sui sistemi pensonistici europei, la tendenza ad “allontanare” il requisito alla pensione porterà le generazioni attuali a goderne non prima dei 65 anni: 64,6 per gli uomini (+1,7 anni) e 64,4 per le donne (+2,6 anni) entro il 2050.
Sulle pensioni, l’Italia figura tra i Paesi con la migliore prospettiva di stabilizzazione della spesa.
Cosa vuol dire? Il punto è che con l’incremento delle aspettative di vita (2 anni per gli uomini e 1,5 per le donne) aumenta il periodo trascorso in pensione con un danno per la spesa pubblica. La necessità di contenere i costi previdenziali mantenendo accettabili i livelli dei redditi pensionistici richiede perciò di lavorare su tre fronti: vincolare l’età pensionabile alle aspettativa di vita; correggere storture eccessive del mercato del lavoro; incentivare le diverse forme di previdenza integrativa.
Attualmente, gli uomini italiani vivono da pensionati per 22,8 anni in media, le donne 27,4. Nel 2050 si passerà rispettivamente a 20,9 e 25,5 (l’attuale media Ocse è di 18,5 e 23,3 e passerà a 20,3 e 24,6 anni).
Per Maurizio Sacconi il rapporto OCSE conferma che il nostro sistema previdenziale è «uno tra i più protettivi nei confronti dei cittadini». Il rapporto tra reddito lavorativo e reddito pensionistico (tasso di sostituzione) è pari al 64,5% per i salari medi, contro una media Ocse del 57,3%, e del 75,3% per i salari bassi, contro una media Ocse del 72,1%.
In realtà però questi numeri derivano dalla previsione che aumenti significativamente (passando dal 35% al 64%) il tasso di partecipazione al lavoro dei 55-69enni, dall’attuale 35% al 64 per cento. Ma su questo fronte per ora l’Italia non se la cava bene: con solo il 30% degli uomini di 60-64enni che lavora, contro una media Ocse del 54,5%, e il 13% nella fascia 65-69, contro una media Ocse del 29,3%, il nostro Pese si colloca al terzultimo posto.
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