Ci aveva già pensato Umberto Bossi nel 2011: dirottare il TFR nella busta paga. Allora come oggi, si proponeva di dare mese per mese o in unica soluzione annua, l’accantonamento mensile per la liquidazione: circa il 7% dello stipendio lordo. Ora ci riprova il Governo Renzi: metà quota del TFR “maturando” erogata direttamente al lavoratore. La ratio è la stessa: portare liquidità in più alle famiglie e provare a stimolare i consumi. Ora come allora, si sta sollevando il solito polverone in prossimità del varo della Legge di Stabilità (ex Legge Finanziaria), che rischia di vanificare la possibilità di affrontare la questione con la necessaria serietà.
=> Legge di Stabilità 2015: metà TFR in busta paga
Si tratta di circa 24 miliardi annui “contesi” da lavoratori, aziende, INPS e previdenza integrativa: 13 mld sono accantonamenti presso piccole imprese (<50 dipendenti); 5,7 mld presso il Fondo di Tesoreria INPS; 5,1 mld presso i fondi pensione. E’ evidente che qualsiasi modifica nella destinazione di tale flusso generi reazioni non sempre meditate da parte delle parti interessate. Il TFR è infatti una risorsa importante per l’autofinanziamento delle imprese ma può esserlo anche per le famiglie. E’ poi essenziale per l’alimentare la previdenza integrativa, migliorando il trattamento pensionistico. La quota non utilizzata a tal fine dai lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti confluisce nel Fondo INPS, utilizzato per calmierare i deficit del fabbisogno statale di cassa.
=> TFR anticipato in busta paga: ipotesi e conseguenze
Il dibattito si concentra da un lato sul maggior prelievo fiscale sulle quote TFR trasformate in stipendio (aliquota marginale) rispetto alla tassazione separata operata al temine della vita lavorativa; dall’altro sulle misure compensative della perdita di liquidità per le imprese, sorvolando su questioni come sperequazione nei confronti dei dipendenti pubblici (esclusi dalla misura nelle ipotesi del Governo) e impatti micro e macro economico.
Il problema
Quale sarebbe l’impatto effettivo sulle imprese con meno di 50 dipendenti in termini di minore autofinanziamento e costi di rifinanziamento? E quali le conseguenze del venir meno di una preziosa “ruota di scorta” che, in tempi di gravi difficoltà sociali e in un paese ancora in attesa di un Jobs Act con un organico sistema di ammortizzatori sociali, svolge un ruolo importante? Il flusso di risorse verrebbe effettivamente destinato ad incrementare i consumi? In che misura? Quanto di questo flusso continuerebbe ad alimentare il risparmio precauzionale delle famiglie italiane? Questi 6 miliardi malcontati avrebbero una destinazione analoga agli 80 Euro?
=> Guida al TFR: calcolo, accantonamento e anticipi
Non si tratta di negare l’opportunità di revisione dei meccanismi di accantonamento del TFR per una sua più efficace allocazione (già in parte avvenuta attraverso il canale dei fondi pensione), ma di trovare risposte convincenti e rassicuranti in merito agli impatti sugli equilibri sistemici dalla manovra, almeno nell’ottica del conseguimento di condizioni di ottimo paretiano.
La soluzione
In tale prospettiva, le problematiche relative al deflusso di liquidità dalle aziende potrebbero essere risolte con un semplice meccanismo: la cessione del credito sul TFR maturando. I lavoratori delle imprese con meno di 50 dipendenti avrebbero la facoltà di cedere a intermediario finanziario il 50% del credito sul TFR che devono ricevere dall’azienda (mensilmente o annualmente), e “incasserebbero” tale credito dagli intermediari finanziari. Le imprese manterrebbero il 50% del TFR maturando nel proprio stato patrimoniale, senza deflusso di cassa e minimizzando il costo di rifinanziamento della posizione derivante dal rapporto di debito con il nuovo creditore (banca/intermediario finanziario). Il rifinanziamento della posizione debitoria non avverrebbe a tassi di mercato (rating, ecc.) come accadrebbe nei casi di dimissioni o pensionamento del lavoratore, ma a tassi che tengono conto della qualità della garanzia, stante la portabilità della garanzia dell’INPS sul credito maturato e ceduto dal lavoratore (equiparabile a rating stato sovrano, eventualmente rafforzata dal sistema dei Confidi, Fondo Centrale di Garanzia e/o da altri enti di garanzia).
Giova altresì sottolineare che le condizioni attuali e prospettiche dei mercati finanziari (almeno per qualche anno) consentirebbero al sistema bancario di rifinanziare le imprese a tassi inferiori o comunque non superiori al costo/rendimento del TFR.
Benefici immediati
- Il sistema delle imprese private, oltre a mantenere la liquidità, vedrebbero ridursi il differenziale dei tassi di finanziamento;
- Il sistema finanziario vedrebbe mitigarsi profili di rischio e costi di finanziamento,
Risulterebbe neutrale per dipendenti e Finanza Pubblica qualora il maggior gettito IVA (maggiori consumi) compensasse il minore gettito derivante dall’equiparazione della tassazione del TFR corrisposto con lo stipendio al regime fiscale in sede di cessazione del rapporto di lavoro.
Ma allora, sempre per un periodo di tempo limitato, perché non considerare l’ipotesi di mettere in busta paga il 100% del TFR maturando, aumentandone la massa critica di impatto?
E per agevolare e conferire tempestività realizzativa al meccanismo delineato, comunque realizzabile a normativa vigente, potrebbe risultare opportuna una disposizione che riconosca ex lege la certificazione del titolo di credito ai dipendenti, prevedendone la cedibilità. Tale meccanismo avrebbe applicazione immediata e potrebbe prevedere un rinnovo su base annua in relazione alla durata e all’intensità della crisi in atto, con facoltà di adesione a tutti i dipendenti delle imprese interessate o con riferimento a specifiche situazioni ed esigenze aziendali (filiere, distretti, imprese export driven, ecc.).
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* Paolo Marizza è Partner di Financial Innovations, società specializzata nella consulenza sui temi di finanza e risk management alle Imprese ed alle Istituzioni Finanziarie.