Salari: lavoratori, professionisti e imprenditori a confronto

di Barbara Weisz

15 Settembre 2014 16:34

In trent'anni sempre maggiore il divario tra dipendenti e manager per redditi e stipendi, incremento insostenibile delle tasse sul lavoro, inversione di tendenza solo nel 2014: lo studio Fisac-Cgil.

L’Italia del lavoro e dello sviluppo economico è stata gestita male negli ultimi trent’anni: meno produttività, più tasse e salari  impoveriti mentre la classe dirigente si arricchiva: negli anni ’70 un manager guadagnava 20 volte più di un dipendente, oggi ben 200 volte. Sono i dati del rapporto Isrf Lab “Poveri Salari” – curato dal segretario Fisac Cgil, Agostino Megale, in collaborazione con Nicola Cicala – che analizza le dinamiche che hanno influito sulle retribuzioni negli ultimi decenni: inflazione, contratti, tasse, crisi.

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Stipendi

Lo stipendio medio di un dipendente è di 28.593 euro, di un top manager 6,5 milioni.  Una sperequazione a cui si accompagna anche una questione fiscale: il peso del Fisco (le tasse sui redditi dal lavoro) si è mangiato in vent’anni 290 euro al mese per ogni lavoratore, in media 3.500 euro l’anno.Dal 2010 al 2013, i contratti non hanno recuperato l’inflazione, salita del 9,1% contro il +6,9% delle retribuzioni, che diventa +6% al netto delle tasse. Risultato, una perdita di potere d’acquisto del 3,1% in quattro anni. I due fattori che hanno inciso maggiormente sull’abbassamento dei salari sono le tasse e la bassa produttività. Nei confronti del principale competitor manifatturiero, ovvero la Germania, scontiamo un differenziale di produttività di 25 punti accumulato negli ultimi 15 anni. Detto in altri termini, il nostro sistema produttivo è sempre meno competitivo.

Redditi

Questa la composizione dei contribuenti, da analizzare tenendo presente che i redditi maggiormente dichiarati sono quelli da lavoro dipendente (86% in termini di frequenza e 78% come ammontare, contro il 4,2% del lavoro autonomo). Il 27% dei contribuenti (circa 11 milioni di persone) paga zero IRPEF (quindi è sotto gli 8mila euro). Il 50,8% dichiara meno di 15mila euro, il 40,4% fra 15- 30mila euro, mentre lo 0,9% è sopra i 100mila euro. In pratica, oltre il 90% dei contribuenti (37 milioni di persone) guadagna meno di 35mila euro l’anno (escludendo i pensionati).

Dal 2010 al 2013, il reddito familiare medio registra una perdita di 8.312 euro per i dipendenti, mentre per professionisti e imprenditori c’è stato un incremento di 3.142 euro. Ma per fotografare con precisione il mercato del lavoro, bisogna andare oltre le medie: se il salario di un dipendente nel 2013 è di 1.327 euro in media, ci sono fra i 6 e i 7 milioni di persone che lavorano per meno di mille euro al mese cui si aggiungono altri 7 milioni di pensionati nella stessa situazione. Per non parlare dei giovani. Un neolaureato mediamente è precario e guadagna fra gli 800 e i mille euro al mese fino ai 35 anni. Negli anni ’70, un giovane guadagnava mediamente il 10% in più della media nazionale, oggi prende il 12% in meno.

Cambio di rotta

Per quanto riguarda il 2014 si registra invece una dinamica positiva: crescita delle retribuzioni stimata del 2,6% su un’inflazione dello 0,3%; aumento retribuzioni dell’1,6% tenendo conto degli 80 euro al mese del Decreto IRPEF.

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Rilancio produttivo

In primis, si suggerisce un tavolo di confronto fra sindacati, governo, parti sociali e forse produttive (imprese, banche, università, ricerca). Le proposte del report: 215 miliardi di euro per gli investimenti da recuperare attraverso fondi pensione, Cassa depositi e prestiti, assicurazioni, liquidità BCE, credito bancario a imprese e famiglie. Riforme per l’equità sociale (fisco, tracciabilità, tassazione gioco d’azzardo, patrimoniale, rinnovo contratti e superamento del blocco del pubblico impiego). Sul fronte più specifico dell’occupazione: piano straordinario per la buona occupazione, solidarietà e Part time giovani-anziani, sviluppo della crescita dimensionale delle imprese, contratti nazionali snelli, crescita dei salari parametrata alla produttività, riduzione del numero dei contratti (sono 416, la proposta è di arrivare a 40), coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale (in base al principio sancito dall’articolo 46 della costituzione).