«Ecco, gli operatori mobili hanno indugiato un lustro per lanciare i pagamenti mobili NFC. Hanno voluto a tutti i costi farlo accordandosi con le banche, anche se non ne avevano bisogno. E ora arriva Apple a presentare il conto di queste attese, con l’iPhone 6 che sarà il primo a supportare l’NFC».
Carlo Maria Medaglia, docente dell’università Sapienza di Milano, è stato probabilmente il primo universitario a occuparsi a livello laboratoriale e applicativo di tecnologie NFC («da circa un decennio»). Ne sono passati almeno cinque dalle prime sperimentazioni degli operatori mobili. Anno dopo anno, ci hanno detto (Telecom Italia e Vodafone in testa) “adesso partiamo” con i servizi commerciali, ma abbiamo dovuto attendere il 2014 per TIM Wallet e Vodafone Wallet, mentre per Wind e 3 Italia dovremo aspettare rispettivamente il 2015 e circa sei mesi, a quanto risulta a PMI.it.Non solo: ad oggi possiamo usare TIM Wallet solo con carte di credito della banca Mediolanum e la prepagata della stessa TIM. Stessa scelta per Vodafone: solo con la sua prepagata e, a breve, con Mediolanum. La musica non cambia con Poste Italiane: il servizio è vincolato ai conti Bancoposta. Chiude il quadro l’app di Intesa San Paolo: funziona solo con le SIM di TIM e di Noverca. Insomma, l’utente deve fare un puzzle mettendo assieme le SIM e le carte di credito delle banche “giuste”, per pagare in NFC nei negozi. Meno problematico procurarsi il cellulare adatto, visto che l’NFC ce l’hanno tutte le marche, anche in modelli economici. Meno l’iPhone, appunto. E ancora per poco.
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L’ iPhone introdurrà una differenza importante rispetto ai servizi che siamo abituati a vedere in Italia aspettando gli accordi banche-operatori. Spiega Medaglia:
«l’iPhone 6 fa saltare il banco perché memorizzerà i dati delle carte su cloud. Banche e operatori italiani non gradiranno ma non potranno fare niente per opporsi».
Certo, bisognerà vedere se Apple lancerà il servizio anche in Italia. C’è già il caso di Google Wallet, che funziona allo stesso modo ma solo negli USA.
«E’ stata una scelta solo di Google. Se dovesse lanciare Wallet in Italia potrebbe farlo senza chiedere il permesso a nessuno, dato che gli accordi con le carte di credito supportate sono internazionali. Lo stesso vale per Apple».
È un bene per l’utente finale che arrivi un servizio (Google o Apple) in grado di funzionare, subito, con tutte le carte di tutte le banche e con tutti gli operatori mobili. Ma da un altro punto di vista:
«sarebbe l’ennesima occasione sprecata per l’innovazione italiana, per colpa degli indugi dei nostri attori. i ritardi hanno infatti ostacolato la nascita di startup e app italiane intorno ai pagamenti mobili di prossimità», aggiunge.
Non sarebbe la prima volta che gli over the top entrano in un mercato in modo “disruptive”, lanciando servizi che gli attori nazionali avrebbero potuto fare ben prima. Con i pagamenti digitali il problema è stato che gli operatori mobili non se la sono sentita di partire subito senza accordarsi con le banche, che pure erano interessate a lanciare il servizio. Avrebbero potuto ben farlo, accordandosi direttamente con i circuiti di carte di credito (come hanno fatto Apple e Google). Dal punto di vista tecnico non serve altro; gli operatori hanno già tutto “in casa”: possono ospitare i dati delle carte su SIM speciali, in un’area protetta (così funzionano gli attuali servizi italiani, infatti).
Bisognerà vedere se gli accordi accelereranno, abilitando presto altre carte di credito con altri operatori. O se gli over the top arriveranno prima rubando la torta del mercato italiano. I quattro operatori sono impegnati ora in una corsa in questo senso, parlando con le principali banche. Ma il tempo che è già passato in questi dialoghi è ormai irrimediabilmente perduto. In ballo non ci sono solo i ricavi di questi servizi (tutto sommato a bassa marginalità), ma soprattutto la possibilità di conservare un legame con l’utente, intermediandone la spesa e ospitandone i dati di pagamento. Rapporto che rischia invece di essere consegnato definitivamente nelle mani degli over the top, condannando gli operatori – anche su questo fronte – al ruolo di meri tubi che trasportano servizi altrui.