Tratto dallo speciale:

Mercato del lavoro: meno posti, più precarietà

di Barbara Weisz

4 Agosto 2014 15:26

logo PMI+ logo PMI+
Oltre ai posti di lavoro persi, la crisi ha incrementato in Italia la precarietà: addio al posto fisso e al contratto a tempo indeterminato.

La conclusione dell’ennesimo report sul mercato del lavoro ai tempi della crisi è sempre la stessa: meno posti e più precarietà. I dati sono di uno studio UIL – di cui abbiamo già analizzato una parte dei risultati – che conferma dal 2008 al 2013 la perdita di un milione di addetti, con un dimezzamento dei contratti a tempo indeterminato, crollati al 19,1% a fronte di un aumento di quelli a termine del 19,7% e, più in generale, di una precarietà nei contratti salita all’80,9%.  Dopo aver analizzato 

=> Crisi e lavoro: un milione di posti in meno

Trend 2014

I primi dati relativi al 2014 non presentano alcun miglioramento: i 4/5 dei contratti sono “flessibili”, quelli a tempo determinato sono il 67% del totale (in numeri assoluti, 1.583.808). Le assunzioni a tempo indeterminato sono state poco più di 400mila (il 17,6%), le nuove collaborazioni 189.922 (8% dei contratti attivati), i rapporti di apprendistato 56.195 (il 2,4%). Dal 2008 al 2013 si è passati da 11 milioni di contratti attivati a 9. Non solo: la media di attivazioni per lo stesso lavoratore è passata da quota  1,64 nel 2009 a 1,78 del 2013. Un ulteriore indicatore dell’aumento dell’utilizzo di contratti flessibili.

=> Assunzioni: Report 2014 del Ministero del Lavoro

Analisi territoriale

Nel 2013 è avvenuto il sorpasso del Lazio sulla Lombardia per quanto riguarda le nuove assunzioni. Nella regione della Capitale sono stati attivati circa 1,4 milioni di contratti contro gli 1,3 milioni lombardi. Al terzo posto la Puglia, con un milione di nuovi contratti. Da segnalare che, in tutte le regioni, il numero di contratti attivati è comunque in calo (-6% il dato nazionale). Importante: due delle tre regioni sul podio, Lazio e Puglia, hanno anche il record di numero di contratti attivati per ogni singola persona ( 2,45 e 2,12, rispettivamente), il che significa che ad essere cresciuto è soprattutto il lavoro flessibile. La Lombardia, da questo punto di vista, con un indice a 1,59 è sotto la media nazionale, pari a 1,79. La regione con il minor indice di flessibilità del lavoro è la Calabria (1,41), che però ha anche un basso numero di attivazione totali, seguita dalle province di Trento e Bolzano, anch’esse sotto quota 1,5.

Riforma Fornero

Il rapporto fra nuovi occupati e cessazioni nel 2013 resta negativo (-157mila), con 9,6 milioni di attivazioni contro 9,8 milioni di rapporti chiusi. Interessante il confronto fra 2012 e 2013, che offre una misura degli effetti della Riforma dell’Articolo 18 operata dalla Legge Fornero, in vigore dall’estate del 2012: ebbene, nel 2013 ci sono stati 927.75 licenziamenti, in diminuzione del 10% dal 2012, ma in aumento del 15,6% dal 2009.

Conclusioni

A tirare le conclusioni è Guglielmo Loy, segretario confederale UIL:

«la bassa crescita continua a provocare danni profondi al nostro mercato del lavoro» sottolinea, e «solo affrontando quel tema, appunto la crescita, si potrà guardare con un po’ di serenità il futuro occupazionale di milioni di persone».

Sullo sfondo, il Jobs Act del governo Renzi, con le misure già predisposte con il Dl lavoro su contratti a termine e apprendistato e quelle in arrivo con il disegno di legge.