La necessità di soddisfare in maniera sempre più efficiente le esigenze di produzione delle piccole e medie imprese, ha comportato la nascita di numerose società che mettono a disposizione della clientela soluzioni tecnologiche per la gestione informatizzata delle attività lavorative.
Numerosi sono i servizi disponibili, quali la creazione di siti internet, l’attività di supporto nello start-up tecnologico (servizi di telecomunicazioni e di comunicazione elettronica) di un’azienda, ivi compresa la consulenza nella selezione di software e hardware, la ristrutturazione delle infrastrutture tecnologiche, la consulenza nella selezione di fornitori di connettività, i “Software As a Service” e così via.
Tutto ciò ha portato all’introduzione di nuove norme contrattuali volte a disciplinare le innovative modalità di fruizione di questi servizi. In seguito al recepimento di importanti direttive in tema di contratti a distanza, tutela dei consumatori ed e-commerce, il nostro sistema si è arricchito di una corposa normativa speciale della quale dovrà tenere conto chi si propone di vendere i propri prodotti o servizi per mezzo del Web.
L’apripista di tali normative è stato il D.lgs. 185/1999, confluito nel Codice del consumo emanato con l’approvazione dell’art.7 della legge n. 299/2003.
Prescindendo dai dettagli, variabili a seconda del tipo di servizio offerto, nella stipula dei contratti online è indispensabile che siano garantite alcune condizioni essenziali.
Innanzitutto, dev’essere rispettata la riservatezza dei contraenti, di modo che le transazioni avvengano senza che terzi – non coinvolti nel processo contrattuale – vengano a conoscenza dei contenuti delle comunicazioni scambiate tra le parti.
In secondo luogo, dev’essere garantito il reciproco riconoscimento tra gli interlocutori, in modo da autenticare l’origine dei messaggi.
Quanto invece alla volontà negoziale delle parti, espressa tramite documento informatico, è indispensabile che non debba poter essere disconosciuta e, di conseguenza, dovrà essere opponibile ai terzi in giudizio, a seguito delle eventuali controversie (c.d. non ripudiabilità delle informazioni). A tal fine, il contenuto delle prestazioni dovrà essere pienamente conforme alla volontà delle parti, senza che sia possibile alterare il documento informatico sul quale si fonda lo scambio.
Le difficoltà maggiori che si incontrano nell’utilizzo del mezzo telematico lungo la fase delle trattative contrattuali, stanno proprio nella natura elettronica del mezzo.
Nel nostro ordinamento, pur vigendo il principio generale di libertà di forma, non pochi dubbi interpretativi sono sorti sui limiti di validità dei contratti stipulati nel Cyber Spazio, un “non-luogo” ove i documenti sono creati con strumenti informatici o telematici ed i contraenti comunicano a distanza per mezzo di un media.
Se è vero, infatti, che l’art. 1350 c.c. consente alle parti di utilizzare qualunque forma per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (fatti salvi i casi in cui la legge richiede espressamente la forma scritta per la validità del contratto), l’impiego di Internet come mezzo per compiere transazioni commerciali ha sollevato non pochi problemi interpretativi in merito alla disciplina relativa alla conclusione del contratto (art.1326 c.c.), all’offerta al pubblico (art.1336 c.c.), alle condizioni generali di contratto (art.1341 c.c.) ed alle clausole vessatorie (1469 bis c.c.).
La piena applicabilità tout court delle suddette norme alla realtà di Internet è stata affermata dal D.lgs. 70/2003, che all’art.13 recita: «le norme sulla conclusione dei contratti si applicano anche nei casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio della società dell’informazione inoltri il proprio ordine per via telematica».
Ovviamente, stante la peculiarità dei contratti in oggetto, vi sono delle differenze interpretative nell’applicazione delle suddette norme, rese necessarie dal contenuto spesso altamente tecnico delle clausole contrattuali.
Ci si riferisce in particolare alla sottoscrizione di impegni precontrattuali, non infrequenti nel Web, la cui inosservanza è sanzionata ex art. 1337 c.c., in base al quale «le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede», ove per buona fede si devono intendere – in base a ormai consolidata giurisprudenza – una serie di obblighi tipici, quale il dovere di informazione.
A tal proposito la dottrina più recente ha attribuito alle trattative negoziali nella formazione del contratto informatico un nuovo significato: considerata l’incontestabile disparità esistente tra la cultura informatica del fornitore e quella dell’utente, il principio di buona fede viene tradotto in specifici doveri di informazione tecnica e di consulenza in relazione agli elementi essenziali del servizio offerto.
Ancora, sulla scia di tale impostazione dottrinale, tra gli obblighi tipici della fase prenegoziale è stato introdotto il dovere di chiarezza, da intendersi come esigenza di evitare un linguaggio non pienamente comprensibile dalla controparte, nonché il dovere di segretezza. Quest’ultimo elemento assume un rilievo particolare nell’ambiente virtuale, tanto che, per risolvere in maniere incisiva le problematiche relative alla privacy delle controparti, si sono diffusi tra le grandi imprese i c.d. accordi EDI.
Come accennato in narrativa, il legislatore ha esteso alla fattispecie contrattualistica in oggetto la tutela verso le clausole vessatorie, vale a dire particolari condizioni che determinano uno squilibrio tra i diritti ed obblighi delle parti e che quindi non possono essere applicate.
In particolare, nell’ambito della fornitura di servizi, sono abusive le clausole che escludono la responsabilità del professionista per i contenuti del sito, l’operatività del sito stesso, l’accuratezza, la completezza e l’affidabilità delle informazioni presenti, i dati e le eventuali inesattezze tecniche, le caratteristiche dei servizi acquistabili online.
In secondo luogo, sono vessatori i documenti contrattuali poco chiari e quelli che assicurano al professionista una libertà illimitata di modificare le clausole contrattuali in qualsiasi momento a scapito di quanto già stabilito con il consumatore. È vessatoria anche la disposizione ove l’incertezza sui termini di applicabilità delle modifiche negoziali sia unilaterale e abbia l’effetto di conferire solo al professionista la facoltà di modificare le caratteristiche del servizio, senza un giustificato motivo preventivamente indicato nel contratto stesso.
Per concludere la panoramica relativa ai contratti on line, si rendono necessari brevi cenni sulla tutela dei “contraenti telematici”. Sul tema è intervenuto più volte il legislatore comunitario che, oltre ad aver incoraggiato la predisposizione di codici di condotta, ha introdotto strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, riconoscendo espressamente alcune forme anche telematiche nella conduzione di sistemi alternativi di risoluzione delle liti. In particolare, l’art. 19 della direttiva 2000/31/Ce prevede che il prestatore dei servizi di società dell’informazione ed il destinatario possono adire organi di composizione extragiudiziale delle liti.
È nata, pertanto, in alternativa allo strumento classico di tutela giudiziale, la possibilità di ricorrere ad una procedura di conciliazione online, un rimedio efficace per le controversie legate ai contratti online, conclusi ed eseguiti, cioè, tramite Web e strumenti informatici. Nella conciliazione online le parti della lite giungono ad una soluzione concordata fra loro e per entrambe soddisfacente, in un incontro virtuale, grazie all’aiuto di un conciliatore neutrale e competente, scelto dalle Camere di Commercio, caso per caso, in un’area riservata a cui possono accedere solo le parti, il conciliatore ed il funzionario preposto al servizio.
Da questo breve excursus si può agevolmente arguire come internet abbia obbligato dottrina e giurisprudenza a riesaminare i concetti tradizionali del diritto convenzionale nazionale e transnazionale. Ed a tal proposito, c’è già chi parla da tempo della necessità della creazione di una cyber-lex autonoma, fondata sull’esempio della lex mercatoria, evoluzione che sarebbe resa molto più semplice qualora venissero create delle vere e proprie giurisdizioni virtuali (sull’esempio della conciliazione on line), composte da magistrati di nazionalità differenti, che istruiscano cause on line, rendendo inutile la localizzazione spaziale della giurisdizione.