Oltre al contribuente, in caso di frode fiscale a rischiare la condanna penale è anche il commercialista che ha presentato per via telematica la dichiarazione dei redditi nella quale sono stati riportati costi fittizi e fatture false; l’imputazione a carico del commercialista può inoltre prevedere che, in attesa del processo, venga applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari dal momento che la sua qualifica livello professionale potrebbe implicare una pericolosità sociale: a stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23522 del 5 giugno 2014.
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Quando scatta il reato penale
Ovviamente, Non basta una dichiarazione dei redditi che riporta dati fittizi per attribuirne la responsabilità anche al consulente commerciale. La complicità del commercialista deve essere provata, ad esempio nel caso in esame sono stati tenuti in cono elementi come le intercettazioni telefoniche, il possesso di determinati documenti relativi alle operazioni fittizie, l’occultamento e la distruzione di documenti contabili e così via.
Il commercialista, in base alle prove, deve risultare di essere attivamente coinvolto e di aver pianificato e realizzato un progetto di evasione fiscale di ampie dimensioni e protratto nel tempo, che può vedere coinvolte società e persone alle quali il professionista fornisce consigli e direttive sulle false fatturazioni, andando così a sottrarre nel tempo ingenti capitali destinati all’Erario.
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La sentenza fa seguito ad un pronunciamento del 2011: la sentenza 39239 del 28 ottobre di quell’anno sanciva che il professionista depositario di scritture contabili di un’azienda colpevole di evasione fiscale è passibile di sequestro cautelativo per il reato di “corruzione attiva” (ex articolo 322-ter del codice penale): il commercialista viene considerato corresponsabile della realizzazione del profitto fraudolento, indipendentemente dalle quote di sua eventuale ripartizione.