Perché l’Agenda Digitale è in ritardo? Le mosse attese da Renzi

di Alessandro Longo

20 Marzo 2014 13:12

Il dietro le quinte dei ritardi politici e digitali del Paese, che ora chiede a Renzi una svolta buona anche in questo senso, evitando gli errori dei precedenti governi e assegnando il dossier a una figura di spicco e competente.

Il dossier dell’Agenda Digitale incombe e strepita sulla scrivania del nuovo premier Matteo Renzi, che finora l’ha ignorato nonostante si tratti di un paziente febbricitante che ha bisogno di tutte le attenzioni possibili. Ma adesso si cambia: entro la prossima settimana Renzi prenderà decisioni importanti su come portare avanti la partita con cui cambiare lo Stato, le pubbliche amministrazioni e le città con gli strumenti del Digitale. Gli addetti ai lavori sanno già che siamo a un punto di uscita per quella che, con il nuovo governo, è stata una fase di limbo per l’Agenda. Per molti motivi la svolta sembra vicina.

I ritardi accumulati

PRIMO, tra una settimana scade il mandato di Francesco Caio e della sua Unità di Missione di tecnici che ha lavorato (gratis), durante il Governo Letta per sbloccare tre tasselli importanti dell’Agenda dai quali dipendono molti altri. Urge trovare una figura politica o para-politica di riferimento per proseguire il lavoro. Caio ha già annunciato che incontrerà Renzi entro fine mese: ci siamo.

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SECONDO, c’è da un mese lo Statuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale (varato con un anno e mezzo di ritardo rispetto alle previsioni di legge), ma mancano ancora le nomine di due suoi organi (Comitato d’Indirizzo e Collegio Revisore dei Conti). Necessari perché l’Agenzia vada a pieno regime, assuma personale e paghi gli stipendi. Finora il direttore Agostino Ragosa, ha lavorato con l’autorità di commissario straordinario, portando avanti bandi e misure, tra cui alcune fondamentali per l’informatica Nella pubblica amministrazione e che certo non potevano aspettare che l’Agenzia fosse a regime. L’Agenzia è infatti il solo ente deputato  a coordinare le azioni per promuovere le tecnologie ICT a supporto della Pa, ereditando le competenze dell’Agenzia diDigitPA, del Dipartimento per l’Innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei ministri e di parte della Consip.

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TERZO, è solo di pochi giorni fa la denuncia dei ritardi dell’Agenda da parte del servizio studi del dipartimento Trasporti presso la Camera. È un monitoraggio periodico, secondo cui delle 55 misure previste da vari decreti cardine dell’Agenda (Crescita, Crescita 2.0, “del Fare”) solo 17 (meno di un terzo) risultano attuate. Ci sono insomma 38 misure non emanate, anche se previste dai decreti, e di queste il 55 per cento aveva una scadenza i 45 e i 60 giorni.

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I motivi del ritardo

Ma qual è il motivo di questi ritardi? La domanda non è banale come si penserebbe. In molti hanno trovato una facile spiegazione, puntando il dito sul Governo Letta, sull’Agenzia, su Caio. “Ma come: c’erano scadenze nei decreti voi non le avete rispettate; non avete fatto in tempo i decreti attuativi o dato operatività alle leggi”, è il senso delle critiche. In realtà le cause dei ritardi sono diverse e più complicate. Spiegarle significa mettere a luce il dietro le quinte dei lavori che hanno portato avanti l’Agenda negli ultimi mesi. Allo stesso tempo, andando a sbirciare, possiamo scoprire qualcosa di più sui problemi profondi, strutturali, che attanagliano lo sviluppo digitale italiano.Ho seguito l’andamento dei lavori a stretto contatto con le persone dell’Unità di Missione e dell’Agenzia, settimana dopo settimana, nell’ultimo anno. Il punto fondamentale è che le scadenze dei decreti (Crescita 2.0 in particolare) non sono state rispettate perché ponevano obiettivi irrealizzabili. Alcune erano troppo ottimiste dato lo stato di arretratezza della PA.  In altri casi il legislatore ha fatto di peggio: voleva imporre una rivoluzione informatica non fattibile di colpo – a costo zero, per altro – negli uffici pubblici e potenzialmente pericolosa.

L’esempio pratico

Il caso emblematico è l’Anagrafe della popolazione residente, che sarà una base di dati centralizzata e in cloud. È una delle tre priorità scelte da Caio e la sua roadmap ad oggi prevede una piena operatività nel corso del 2015; mancano gli ultimi decreti attuativi e sarebbero dovuti arrivare un anno fa, secondo il Crescita 2.0. Il dietro le quinte dei lavori ci rivela però che le persone di Caio si sono trovate in eredità un progetto troppo radicale, consistente nel togliere le anagrafi dai Comuni e centralizzarle. Ma privati dell’Anagrafe, tutti i servizi comunali verrebbero paralizzati. Serviva insomma un progetto graduale di transizione, per non bloccare il sistema e attrezzare i Comuni per la rivoluzione informatica prevista (verso il cloud). Senza una base dati solida e centrale, contenente le informazioni fondamentali sui cittadini, non era poi possibile sbloccare altri temi dell’Agenda, come l’avvio del documento d’identità unificato, il fascicolo sanitario elettronico ole ricette mediche in formato elettronico. Anche questi capitoli risultano in ritardo, rispetto a quanto previsto dal Crescita 2.0; ma era inevitabile per via del nodo dell’Anagrafe.

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Cosa serve ora

In sintesi, possiamo dire che adesso, soprattutto, continuiamo a scontare i ritardi cronici dell’Italia sul fronte digitale. Il sospetto però è che a questo problema di vecchia data si sia sommato, di recente, anche una certa scarsa attenzione dei Governi alla questione. Lo dicono vari indizi, tra cui lo stesso fatto che tutta l’Unità di Missione dell’Agenda abbia lavorato “part time” e pro bono.

Forse un Governo più attento al Digitale avrebbe creato dato un assetto più formale. Lo stesso Renzi, nonostante l’amore sbandierato per il Digitale in varie occasioni pubbliche, finora ha mancato di nominare figure politiche di riferimento (quali un ministro o un sottosegretario, invocato da tanti tra gli addetti ai lavori). E non si è certo affrettato a sbloccare gli altri organi dell’Agenzia (che attendono un decreto della Presidenza del Consiglio) o a dare risposta all’enigma sul successore di Caio. Certo, la tempistica è stata sfortunata: le questioni si sono presentate solo poco dopo il cambio di Governo. Il nuovo premier può ancora dimostrare di voler includere l’Agenda Digitale nel concetto di “svolta buona”, il motto che sta caratterizzando i suoi programmi su altri temi di Governo. Significherebbe una svolta rispetto all’approccio da “mano sinistra” che tutti i precedenti Governi (chi più chi meno) hanno avuto sulla questione digitale. Sarà così se Renzi eviterà il rischio “vuoto di regime”, dopo la scadenza di Caio, e assegnerà il dossier Agenda a una figura politica di spicco e competente.