Il recupero d’imposta in caso di scontrini fiscali discordanti dalle annotazioni sugli acquisti con buoni pasto è illegittimo: nei registri dei commercianti al dettaglio (anche singoli punti vendita di una catena) deve figurare espressamente il valore all’incasso dei corrispettivi tramite l’accettazione di ticket di spesa usati per l’acquisto di merci (Cassazione, ordinanza n. 347/2014).
L’Amministrazione finanziaria può legittimamente avviare accertamenti unificati (IRPEF, IRAP e IVA) anche a catene di supermercati, se in seguito a ispezione della Guardia di Finanza si rileva la mancata annotazione di fatture prodotte in seguito a rimborsi di altrettanti buoni pasto utilizzati dai clienti.
Contabilità ticket
Non è sufficiente che gli scontrini riportino le somme corrispondenti ai buoni (con la dicitura “pagamenti vari”): senza fatture registrate, il contribuente commette ben oltre l’irregolarità formale dell’indicazione del numero di fatture emesse a fronte del rimborso ricevuto dalle imprese emittenti dei buoni: nel registro delle fatture emesse e dei corrispettivi deve essere annotato il controvalore dei buoni pasto.
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Non riportando l’esatto valore in denaro dei buoni, si configura l’esistenza di incassi non documentati e non contabilizzati. La prova certa deriva dall’esame dei registri dei supermercati: deve essere comprovata la corrispondenza specifica sugli scontrini fiscali di chiusura giornaliera di cassa (pur assumendo che sul registro risultano incassi corrispondenti alle fatture, in corrispondenza del mese successivo a quello di accettazione come corrispettivo dei “buono pasto”).