Tante analisi condivisibili sui ritardi italiani nel cammino della Banda Ultralarga; resta da vedere se il premier Letta le trasformerà in azione attraverso in un piano nazionale che assegni in modo organico risorse alle infrastrutture digitali: è la posizione degli esperti alla lettura del Rapporto Caio presentato il 30 gennaio dal commissario all’Agenda Digitale presso la Presidenza del Consiglio.
Rapporto Caio
Si tratta di un rapporto molto atteso perché richiesto dal premier in persona e percepito come momento di svolta per fare il punto della situazione, pre-condizione per passare a un piano di intervento nazionale. Scarica:
Rapporto Caio su Banda Larga e Ultralarga
La copertura Banda Larga di base sarà completa entro il 2014, più o meno in linea con l’Europa. Il problema è quella Banda Ultra-larga, anche nei piani degli operatori, insufficienti per raggiungere gli obiettivi UE 2020 (30 Megabit a tutti, 100 Megabit al 50% della popolazione). L’attuale copertura a 30 e 100 Megabit vede l’Italia in ritardo nonostante l’accelerazione 2013 data da Telecom Italia e Fastweb. Caio cita dati Point Topic del 2012, ma quelli più aggiornati di Between, che PMI.it può anticipare, dicono che i 30 Megabit sono sul 18% della popolazione. Nel 2016-2017 il 50% della popolazione avrà i 30 Megabit, dato che passerà (prevede Caio) al 60-70% nel 2020, stando gli attuali piani degli operatori (Telecom Italia, Fastweb e Vodafone, che stanno facendo tre reti in fibra separate ma sovrapposte quanto a copertura). L’Italia non ha un piano di copertura nazionale proteso al 2020, né piani per la fibra a 100 Megabit. Caio chiede quindi al Governo un piano nazionale per utilizzare i fondi infrastrutturali europei ma di investire anche proprie risorse. Chiede inoltre un monitoraggio costante dell’avanzamento dell’Agenda Digitale Italiana e di investire in piani per l’alfabetizzazione informatica. Tutte cose di buon senso, che gli esperti chiedono da tempo. Concordano tra gli altri Stefano Quintarelli (Scelta Civica e noto esperto della rete), Paolo Coppola (PD), Roberto Sambuco (Sviluppo Economico), in pareri che ho raccolto personalmente; Antonio Palmieri (Forza Italia) e Marco Patuano (amministratore delegato di Telecom Italia) in dichiarazioni stampa.
Monitoraggio e investimenti
Questo Governo ha fatto passi avanti portando il tema alla Presidenza del Consiglio e nominando un commissario, ma quanto a risultati registriamo solo l’avanzamento delle norme per la fatturazione elettronica, mentre sui decreti attuativi di tutte le altre misure l’Italia accumula ritardi. Di fondo c’è che l’Italia non ha un piano nazionale organico che monitori e porti avanti l’Agenda Digitale nella sua interezza utilizzando le nuove risorse (europee e nazionali) 2014-2020, la sola speranza di realizzare l’Agenda. Per il monitoraggio forse la svolta avverrà a febbraio, quando l’Agenzia per l’Italia Digitale (sotto la Presidenza) sarà pienamente operativa (Statuto previsto a giorni, con un ritardo di un anno rispetto a quanto legiferato). Per gli investimenti il banco di prova è il piano con cui l’Italia intende utilizzare le prossime risorse: “allo stato, queste sono in mano alle Regioni, che possono decidere se e come stanziarle per l’Agenda Digitale”, riassume Sambuco.
Nella bozza di accordo di partenariato Italia-Europa ci sono 3,6 miliardi di euro per PA Digitale e 1,260 miliardi per la banda ultra larga (nelle zone dove gli operatori non investiranno), più circa 500 milioni per l’alfabetizzazione digitale e altrettanti per sostenere gli investimenti delle aziende in ICT. Sono cifre che comprendono anche il cofinanziamento nazionale e regionale (pari a quello europeo). A queste si sommeranno, per l’Agenda, una parte dei 54 miliardi di euro dei fondi nazionali Sviluppo e Coesione.
Il problema è che senza un piano organico c’è il pericolo di spreco e sovrapposizione tra piani regionali. I soldi inoltre rischiano di essere troppo pochi, anche considerato che l’Europa ci chiede di assegnarli all’80% alle regioni meno sviluppate. Per molti temi dell’Agenda, questa territorializzazione non ha senso, mentre lo ha assegnare questi fondi a infrastrutture digitali nazionali, poi utilizzate dalle varie PA locali.
La questione è complicata perché richiede una presa di posizione forte del premier, che sottragga competenze alle Regioni e magari aumenti le priorità di investimento sull’Agenda. E’ in fondo questo il succo delle richieste di Caio. Nelle prossime settimane scopriremo se cadranno nel vuoto – come già capitato al precedente rapporto, durante l’ultimo governo Berlusconi – o se l’Italia ce la farà a imprimere una svolta al proprio destino digitale.
Per approfondimenti: Nota stampa della Presidenza; Progetto Strategico Banda Ultralarga