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Credito in conto corrente e anatocismo

di Anna Fabi

Pubblicato 21 Novembre 2013
Aggiornato 2 Agosto 2022 08:14

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Credito in conto corrente e divieto di anatocismo: guida ai diritti del correntista, che può rivalersi sulla banca per il recupero dell'indebito.

Alla luce dell’attuale quadro normativo, il correntista ha diritto di intraprendere un’azione per il recupero dell’anatocismo e di tutte le altre somme eventualmente incassate dalle banche a titolo indebito. Vediamo i dettagli.

Apertura di credito: come funziona

L’attività creditizia della banca si concretizza, tra le altre, attraverso l’apertura di credito bancario che consiste in un contratto consensuale ad effetti obbligatori, con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una certa somma di denaro, il cosiddetto fido.

  • Se il contratto è a tempo determinato, la banca si impegna a tenere a disposizione del cliente la somma per un periodo di tempo contrattualmente predefinito; la banca ha la possibilità di recedere anticipatamente solo per giusta causa, concedendo al cliente un preavviso di almeno 15 giorni per ripianare il debito.
  • Se il contratto è a tempo indeterminato, il lasso di tempo per il quale la banca deve tenere a disposizione del cliente la somma di denaro non è predeterminato nel contratto; ambo le parti possono esercitare il diritto di recesso dando un preavviso all’altra parte di 15 giorni, se non pattuito diversamente.

L’apertura di credito bancario può essere allo scoperto oppure, nella maggior parte dei casi, assistita da una garanzia reale o personale. Nel caso in cui l’apertura di credito sia assistita da garanzia e quest’ultima diventi insufficiente, la banca può chiedere un supplemento della stessa e, in mancanza, ridurre proporzionalmente il credito in considerazione del diminuito valore della garanzia.

Credito bancario: diritti dei correntisti

L’esercizio del credito da parte degli istituti bancari riveste una fondamentale importanza nell’attuale contesto sociale, rendendo necessaria una attenta tutela nei confronti degli utenti del servizio, nell’ottica sia di incrementare la possibilità di usufruire di detta prestazione secondo criteri di trasparenza e consapevolezza sia di scongiurare il pericolo per cui il fruitore, spesso piccolo imprenditore, estromesso dal circuito creditizio istituzionale, si rivolga al rovinoso circuito usuraio.

All’obbligo della banca di tenere a disposizione la somma di denaro corrisponde un diritto potestativo del cliente, che è infatti libero di utilizzare o meno, in tutto o in parte, il credito concessogli, se e quando lo ritenga opportuno. Proprio in questo consiste il vantaggio pratico dell’apertura di credito, soprattutto in relazione agli interessi che sono dovuti dal cliente solo e solamente sulle somme effettivamente utilizzate e non sull’intera somma concessa dalla banca, che, comunque, potrà essere utilizzata in una unica volta o, al contrario, in più volte e potrà poi essere ripristinata dal cliente con successivi versamenti.

In relazione alla spinosa questione degli interessi debitori derivanti dal contratto di apertura di credito bancario, numerose sono le pronunce giurisprudenziali che hanno escluso la sussistenza di un qualsivoglia uso normativo che giustifichi, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all’anatocismo (ossia il calcolo degli interessi sugli interessi già maturati per una somma dovuta) dall’art. 1283 del codice civile, posto che l’uso normativo consiste nella:

ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico.

In altre parole, le clausole anatocistiche sono state accettate non perché gli utenti fossero convinti della loro rispondenza a principi dell’ordinamento giuridico, ma piuttosto perché costretti ad accettarle per poter accedere ai servizi bancari.

Anatocismo: cosa dice la legge

In linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario emerso negli anni in sede di merito e di legittimità, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,  nella sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, hanno affermato l’illiceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte dell’istituto bancario e hanno stabilito che il correntista possa agire per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per ottenere la ripetizione di quanto indebitamente pagato a tale titolo, entro 10 anni dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, precisando che ciò si verifica quando i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo la funzione di reintegrare la disponibilità del fido.

Tale linea interpretativa è stata, tuttavia, sconfessata dal D.L. n. 225 del 2010, cd. “decreto milleproroghe”, convertito nella L. n. 10 del 2011, la quale, interpretando l’art. 2935 del codice civile, ai sensi del quale “la prescrizione comunica a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere”, trae la conclusione per la quale, con riguardo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, la prescrizione relativa ai diritti nascenti dalla relativa annotazione in conto inizi a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa.

Da ultimo, numerosi Giudici di merito, investiti della decisione in ordine alla statuizione di nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e conseguente condanna della banca alla restituzione dell’indebito, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione legislativa, la cui applicabilità a proprio favore veniva invocata dagli istituti bancari resistenti.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 78 del 2 aprile 2012, ritenuta fondata la questione di legittimità costituzionale, fa sostanzialmente proprie le conclusioni raggiunte dalla citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione, ribadendo che, avuto riguardo alle modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, la ripetizione dell’indebito si rende configurabile soltanto all’atto della chiusura del conto ed è da questo momento che inizia a decorrere il termine prescrizionale di 10 anni.

Come tutelarsi

Stante il quadro sopra delineato, è auspicabile che i fruitori del credito bancario – consumatori e imprenditori –  con l’ausilio del tecnico del diritto, valutino con attenzione l’opportunità e la convenienza di intraprendere un’azione per il recupero dell’anatocismo e di tutte le altre somme eventualmente incassate dalle banche a titolo indebito, ad esempio in forza di clausole nulle, quali spese non pattuite, commissione di massimo scoperto, e così via; allo scopo, va conservata scrupolosamente, per un periodo di 10 anni, la documentazione proveniente dalla banca (contratto, estratti conto, comunicazioni delle banca, etc.).

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A cura dell’Avvocato Corinne Ciriello