Il Redditometro, lo strumento realizzato per evidenziare situazioni dubbie relativamente alle dichiarazioni dei redditi fornite dai contribuenti, da solo non è sufficiente a giustificare un accertamento dell’Amministrazione Finanziaria, per contestare redditi non dichiarati servono anche altre prove a supporto della versione del Fisco. Il motivo, evidenziato dalla sentenza 209/63/2013 della Ctr Lombardia, è che il Redditometro si pone sullo stesso piano degli Studi di Settore, fornendo dei risultati che sono delle presunzioni semplici.
La sentenza
Il caso riguardava un avviso di accertamento inviato dall’Agenzia delle Entrate ad una contribuente, avendone rideterminato il reddito con l’applicazione del Redditometro sulla base del possesso di due immobili (abitazione principale, e seconda casa) e di un’autovettura i cui costi, avrebbe contribuito anche il compagno della contribuente, secondo quanto addotto dalla stessa impugnando l’atto in Commissione provinciale. I giudici di primo grado avevano respinto il ricorso ritenendo validi legalmente i coefficienti utilizzati dall’Agenzia e precisando che derivano da una norma primaria (articolo 38 del Dpr 600/1973). All’appello però i giudici regionali hanno dato ragione alla contribuente avvalorando la tesi secondo la quale nell’accertamento standardizzato, come nelle presunzioni semplici, l’onere probatorio è a carico dell’Amministrazione. La Ctr Lombardia si è allineata con la sentenza 23554/2012 della Cassazione la quale ha affermato che il Redditometro costituisce un accertamento di natura statistica. Dunque, vista la «natura meramente presuntiva del Redditometro gli elementi di accertamento da esso derivanti devono essere corredati da ulteriori dati idonei a sostenere le risultanze, così come stabilito in materia di parametri e Studi di Settore».