Il processo di deleveraging delle banche ha avuto impatti sia dal lato dell’offerta che della domanda di credito. Le cosiddette unintended consequences, ovvero i cosiddetti effetti collaterali non voluti, si sono manifestati prevalentemente dal lato dell’offerta di finanziamenti. Le politiche espansive delle banche centrali, se da un lato hanno avuto un impatto positivo nell’alleviare lo stato di stress finanziario delle banche, dall’altro hanno avuto meno successo nello stimolare il finanziamento dell’economia. Gran parte della liquidità aggiuntiva è stata utilizzata per ridurre il debito e, mentre il deleveraging ha ridotto l’offerta di credito, la richiesta di finanziamenti è stata depressa da misure di austerità. L’interazione di queste due forze ha reso difficile individuare le cause e gli effetti della riduzione dei prestiti.
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Una parte significativa della riduzione della leva finanziaria è del resto imputabile al nuovo contesto normativo a cui le banche si sono adeguate per rispettare i più rigorosi requisiti, attuali e prospettici, di capitale e di liquidità imposti da Basilea III. Gli effetti negativi delle nuove regolamentazioni sull’economia reale sono stati sottovalutati: di fatto, le uninteded consequences non vanno attribuite, spesso con fini strumentali, ai soli comportamenti delle banche.
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Anche per altri intermediari finanziari come i fondi pensione, gli asset manager e le compagnie di assicurazione, con l’introduzione di una regolamentazione simile a quella bancaria, Solvency II, si introduce un requisito patrimoniale più elevato per le attività di lending diretto ed indiretto rispetto all’investimento in titoli di Stato. La ridotta capacità ad assumere rischi di questi investitori istituzionali penalizza ulteriormente il finanziamento alle imprese che devono affrontare costi più elevati per il finanziamento a medio/lungo termine. Le imprese sono incentivate ad indebitarsi a breve e a rinnovare il debito più spesso. Ciò, oltre ad aumentare la loro vulnerabilità in periodi di stress finanziario, inibisce le possibilità di innescare nuovi cicli di crescita e di sviluppo attraverso gli investimenti.
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I Regolatori non dovrebbero pensare solo ad aumentare i requisiti e la qualità del patrimonio delle banche ma anche a prendere in considerazione le conseguenze che questo ha per la raccolta bancaria complessiva e, in generale, sulla ingessatura delle strutture di bilancio degli intermediari finanziari. Si può dire che l’adeguamento ai nuovi requisiti regolamentari sia a metà strada. A normative invariate il ruolo di finanziatore dell’economia del settore bancario viene a ridursi significativamente, almeno nelle forme tradizionali di intermediazione creditizia, assieme al ruolo di altri attori, in particolare degli investitori istituzionali.
Nell’attuale contesto di mercato è pertanto probabile che la riduzione della leva finanziaria stia avvenendo prevalentemente, anche in prospettiva, attraverso la limitazione o la riduzione dei finanziamenti e difficilmente può essere evitata. E’ necessario che nuove forme di intermediazione finanziaria possano soddisfare le esigenze di credito dell’economia. Ciò può richiedere di incentivare nuove forme alternative di credito basate sul mercato, in particolare per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti a lungo termine delle PMI.
Abbiamo assistito alle emissioni di obbligazioni (minibond), direttamente da PMI, che tuttavia fanno fatica a decollare. La liquidità disponibile nel mercato dei capitali, alla ricerca rendimenti adeguati ai premi per il rischio, potrebbe essere canalizzata proprio verso emissioni delle nostre PMI. Ciò che manca è la definizione di politiche coerenti finalizzate al decollo di forme di finanziamento di mercato per le PMI. Gli scettici sottolineano che il decollo di operazioni di finanza di mercato, complementare a quella bancaria possa avvenire solo in presenza di ridotti profili di rischio delle attività economiche e di maggiore fiducia nel sistema bancario.
Forse sarebbe opportuno, almeno in una fase transitoria di riduzione della leva finanziaria, valutare se una più soddisfacente allocazione di risorse pubbliche non possa essere indirizzata ad introdurre nuovi regimi di garanzia agevolata dei prestiti, potenziando ed attivando anche nuove forme di intervento di organismi sovranazionali come la BEI ed il FEI.
A livello nazionale dovrebbero essere perseguite politiche finalizzate a ridurre le esigenze di finanziamento delle PMI, non solo dando concretezza e snellezza procedurale al tanto agognato pagamento dei debiti della PA, ma anche riducendo il fabbisogno di capitale circolante, ad esempio rendendo operativa una più stringente normativa per velocizzare i pagamenti nelle relazioni di fornitura tra operatori economici. Un altro intervento potrebbe rivedere la normativa sui minibond, favorendo l’introduzione dei cosiddetti bond di distretto che potrebbero consentire di fare il pooling anche di posizioni “small ticket” consentendo anche alle micro imprese di accedere a questa forma di finanziamento.
Una politica più strutturale potrebbe aiutare le PMI a diversificare le fonti di finanziamento, in particolare riducendo la dipendenza dalle banche e facilitando un accesso più diretto agli investitori istituzionali sia a livello nazionale che territoriale. Con le stesse finalità dello Small Business Lending Fund, attivato dal Tesoro U.S.A. nel 2010, ma con strumenti e modalità diverse, si potrebbe costituire un Fondo Italiano di Debito misto pubblico/privato per le PMI con l’obiettivo di favorire la canalizzazione di risorse finanziarie e di finanza a lungo termine alle PMI. Tali sviluppi potrebbero contribuire a stimolare il finanziamento delle PMI anche con riferimento ad emissioni obbligazionarie da parte delle stesse (sfruttando anche le disposizioni sui minibond).
Tale disegno rappresenterebbe un potente catalizzatore delle iniziative di finanza locale che stanno maturando in diversi territori e regioni italiane, saldandosi anche con la costituzione di Fondi Territoriali Specializzati di Debito, nell’ottica di investimento/finanziamento indiretto (attraverso i Fondi Territoriali, i bond territoriali, i bond di distretto ed altri strumenti obbligazionari e di debito) e diretto delle PMI.
Gli strumenti alternativi di finanziamento delle PMI vanno in ogni caso sviluppati in relazione ai profili ed agli appetiti di rischio rispettivamente di prenditori ed investitori, nonché al “capitale sociale” ed alla maturità dei diversi territori nel “fare squadra” rispetto alle diverse soluzioni possibili (leggi di più). In particolare, la soluzione Fondo potrebbe consentire di aumentare la “diversificazione” del portafoglio obbligazionario attirando investitori interessati ad operazioni di maggiori dimensioni. Un ruolo chiave nella promozione di Fondi Territoriali potrebbe essere svolto dalle Associazioni Industriali e dalle altre Associazioni di categoria, dalle Finanziarie regionali e dai Fondi Pensione territoriali.
In quest’ottica l’istituzione del Fondo di Debito per le PMI risulterebbe funzionale allo sviluppo di ecosistemi finanziari su base territoriale, contribuendo alla realizzazione di nuovi e più avanzati equilibri sia dal lato dell’offerta che della domanda di credito, in una fase di transizione che contemperi le esigenze di una regolamentazione più severa del settore finanziario con la necessità di creare fonti di finanziamento complementari al credito bancario per l’economia.
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* Paolo Marizza è Partner di Financial Innovations, società specializzata nella consulenza sui temi di finanza e risk management alle Imprese ed alle Istituzioni Finanziarie.