In tempo di crisi, i lavoratori tornano a chiedersi quale trattamento pensionistico sia più sicuro: TFR o Previdenza Complementare? Dopo la riforma del 2007, infatti, una piccola rivoluzione è avvenuta anche nelle imprese, per quanto i dipendenti l’abbiano sostanzialmente snobbata preferendo il classico accantonamento in azienda per godere di una liquidazione certa al momento della pensione.
Il tanto agognato Trattamento di Fine Rapporto (TRF) sembrerebbe anche una soluzione ad alto potere d’acquisto anche in previsione di ipotetici tassi di inflazione alle stelle.
Eppure, secondo i dati 2009 della Commissione di Vigilanza (COVIP), i fondi pensione hanno beneficiato della ripresa dei mercati finanziari e hanno reso tra l’8,45% (i negoziali) e l’11% di quelli aperti, fino al 16% (i Pip).
I fondi accantonati per il TRF, invece, sono stati rivalutati nel 2009 del 2%: in pratica, i soldi lasciati in azienda dai lavoratori hanno fruttato assai poco lo scorso anno, rivalutandosi di una percentuale assai contenuta.
Eppure, ad aderire alla previdenza complementare sono stati davvero in pochi. Probabilmente, a fronte di un 2008 disastroso che ha fatto registrare rese minime anche per i fondi pnsione alternativi (circa il 2%) e addirittura inferiori al TRF stesso.
E allora? Cosa scegliere dal 2010 in poi? Ad oggi, sembra che l’ago della bilancia cominci ad oscillare, “pendendo meno” dalla parte del più sicuro TFR (meno soggetto a oscillazioni di Borsa): gli iscritti alla Previdenza Complementare al momento sono circa 5 milioni di lavoratori italiani (+4,7 nel 2009).
«Le adesioni stentano a crescere in particolare tra i dipendenti con contratti a termine, tra i giovani e i lavoratori autonomi», ha dichiarato il presidente COVIP Antonio Finocchiaro nel corso di un’audizione alla Camera nei giorni scorsi.
Di fatto, secondo Finocchiaro, sono proprio queste le fasce di lavoratori che potrebbero averne più bisogno in futuro: «potranno contare su una pensione pubblica più bassa rispetto a coloro che vanno a riposo ora».