Legalità e imprese: la crisi alimenta i reati

di Barbara Weisz

Pubblicato 25 Marzo 2013
Aggiornato 27 Gennaio 2014 09:48

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Per gli imprenditori italiani la crisi economica ha inasprito la criminalità a danno delle imprese: furti, truffe, usura, estorsione, riciclaggio, contraffazione, aggressioni, corruzione. Indagine Censis e Confcommercio, valutazioni CdC e CSM.

La crisi economica alimenta i fenomeni di criminalità ai danni delle imprese, soprattutto PMI: furti, truffe, danneggiamenti, usura, estorsione. Lo rileva un’indagine su crisi economica e legalità realizzata da Confcommercio e Censis, da cui emergono  richieste impellenti da parte degli imprenditori: pene severe e certe, tempi della giustizia veloci.

Il tema è stato anche al centro del Forum di Cernobbio di Confcommercio (22-23 marzo), con una sessione di lavoro che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Luigi Giampaolino, presidente Corte dei Conti, e Michele Vietti, vicepresidente CSM.

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L’indagine

Oltre l’80% degli imprenditori ritiene che negli ultimi due anni siano aumentati i reati di cui l’attività economica risulta vittima: furti (80%), truffe (64%), scippi (45%), danneggiamenti (41%), rapine (36%), minacce, aggressioni (26% ), usura (25%), estorsione (20%), incendi dolosi (15%). Reati tipici della microcriminalità, legati spesso alla scarsa sicurezza del territorio, ma anche riconducibili a fenomeni di racket e criminalità organizzata ai danni dell’impresa.

Il 19% degli imprenditori è stato vittima di un reato negli ultimi due anni; il 21% tra le imprese del commercio e il 26% tra le aziende collocate nel Centro Italia. Solo l’8% degli imprenditori ritiene sicura l’area in cui opera, mentre per il 71% essa è abbastanza sicura, e per il 21% essa è insicura.

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Fra i principali elementi di disagio sul territorio: recupero crediti per via legale (72%), furti da persone in evidenti difficoltà economiche (70%), contraffazione, 63%, presenza di delinquenti comuni (58%), cambi frequenti di titolari di attività commerciali che possono far pensare al riciclaggio, ricorso a prestatori di denaro diversi da banche e finanziarie (37%), criminalità organizzata (36%).

I rimedi

La prima richiesta è quella di pene più severe e soprattutto di una maggior certezza del diritto, indicata dal 74% degli intervistati. Seguono, con il 70%, tempi più veloci della Giustizia. I titolari d’azienda chiedono anche una maggior collaborazione con le forze dell’ordine per affrontare i temi della sicurezza, 56%, e con gli enti locali in materia di degrado urbano, 55%. Una buona metà, 52%, vorrebbe più interventi preventivi e repressivi. Infine il 50% teme l’immigrazione clandestina.

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Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato che «sicurezza e legalità sono fattori che incidono direttamente sulla competitività non solo del nostro sistema economico, ma anche dei territori e delle singole imprese. Sono, dunque un prerequisito fondamentale per lo Stato di diritto, ma anche per la crescita e lo sviluppo», la cui mancanza «penalizza lo svolgimento di qualsiasi attività economica». Quindi, la cultura della legalità deve radicarsi sempre più nel territorio, serve un contrasto più determinato alla corruzione, bisogna continuare sulla strada dell’impegno delle associazioni fra imprese nella lotta a mafia, racket, usura, corruzione.

Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, sollecita l’adozione di un nuovo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, per «assicurare qualità dei servizi e prevenzione dei fenomeni di corrizione»,  definisce «inaccettabile» il livello del debito della PA verso le imprese, ritiene utile l’avvio del «percorso intrapreso dalla legge sulla lotta alla corruzione».

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Michele Vietti, vicepresidente del CSM, insiste a sua volta sul buon inizio rappresentato dalla legge anti-corruzione, che però è perfettibile». I problemi, secondo Vietti, più che dalla legge dipendono dal «vizio sistemico del nostro assetto penalistico e processuale: la prescrizione». Il sistema economico ha invece bisogno di una giustizia «prevedibile e rispondente a canoni di ragionevolezza, non può essere un gioco del lotto. In questo modo si avrebbe una drastica diminuzione del contenzioso, con relativo effetto benefico per l’attività d’impresa».

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