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Riforma Lavoro: il trionfo della precarietà

di Barbara Weisz

Pubblicato 19 Marzo 2013
Aggiornato 23 Aprile 2013 09:15

La Riforma del Lavoro Fornero ha ridotto l'uso improprio di contratti flessibili ma senza intaccare la precarietà né ridurre i costi per il personale a carico delle aziende, che di fatto non possono assumere: ecco tutti i dati.

Con la Riforma del Lavoro Fornero le imprese hanno sì ridotto l’utilizzo improprio di alcuni contratti flessibili (-54%) ma passando semplicemente da un contratto precario ad un altro. Il costo del lavoro – alla base della precarietà – non è sceso, con ripercussioni gravi sul fronte occupazione.

Sono i risultati della rilevazione dellOsservatorio Permanente sulla Riforma del Mercato del Lavoro di Gi Group Academy, che ha coinvolto imprenditori e Responsabili delle Risorse Umane di PMI.

=>Confronta con il monitoraggio del Ministero del Lavoro

  • Contratti a progetto – 51%
  • Partite Iva -45%
  • Contratti di inserimento -45%
  • Tempo determinato – 42%
  • Contratti di apprendistato + 50%
  • Somministrazione a termine + 36%

Dei contratti trasformati (Co.Co.Pro., Partite IVA…), il 76% è stato convertito in altre forme flessibili e solo il 24% in rapporti a tempo indeterminato.

=>Scopri i nuovi contratti di lavoro della Riforma Fornero

Per gli intervistati, dunque, la Riforma ha inciso negativamente sulla flessibilità in ingresso (assunzioni) e su quella in uscita (licenziamenti) rendendole anche più costose, rispettivamente per il 58% e il 46%.

Punti critici

Per il 73% delle imprese intervistate la nuova legge non diminuisce il costo del lavoro e per il 66% non aumenta l’occupazione, non favorisce l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, né l’inserimento di giovani (54%), donne  ed over 50 nel mondo del lavoro (50%), anzi: il 46% vede paralizzate le scelte di assunzione delle imprese, senza peraltro facilitare i licenziamenti.

=>Scopri il punto di vista delle PMI sulla Riforma del Lavoro

Per quanto riguarda le altre aree di indagine (contrattazione di secondo livello, politiche attive e ammortizzatori sociali), non risultano per ora peggioramenti o miglioramenti significativi né modifiche sui costi. Ma in linea di massima, per il 59% non introduce competitività nel sistema e per il 52%.

=> Confronta con l’analisi dei Consulenti del Lavoro

Valutazioni

Commenta Stefano Colli-Lanzi, CEO di Gi Group e Presidente di Gi Group Academy: «la riduzione delle forme improprie di flessibilità (Co. Co. Pro., Partite Iva, etc.) è indubbiamente il principale risultato che va riconosciuto alla Riforma» mentre «l’altra faccia della medaglia è che la Riforma ha introdotto elementi di limitazione sull’utilizzo di determinati strumenti senza aver concretamente indicato gli elementi positivi e le alternative da utilizzare». Per esempio la riforma non interviene molto sulla somministrazione, di cui l’Ad di Gi Group ritiene invece si dovrebbe incentivare l’utilizzo.

=> Vai allo speciale sulla Riforma del Lavoro

Colli-Lanzi vorrebbe anche più flessibilità in uscita e una serie di misure strutturali: investimenti produttivi per far ripartire l’occupazione, meno tasse sul lavoro e riduzione del cuneo fiscale, ulteriori incentivi all’apprendistato, stimoli al tempo indeterminato, più ricorso alle Agenzie per il lavoro per la flessibilità.