In caso di fallimento il superamento di una durata ragionevole rappresenta la premessa per la possibilità, da parte dell’imprenditore fallito, di chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, però, non è possibile predeterminare in astratto la ragionevole durata di un fallimento.
D’altra parte, alle procedure fallimentari si applicano le norme sul diritto del cittadino alla ragionevole durata del processo, regolate dalla Legge Pinto (Legge n. 89 del 2001, modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83).
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Pertanto se, in base a tale Legge, la procedura fallimentare ecceda la ragionevole durata, l’imprenditore potrà promuovere un autonomo giudizio per richiedere i danni, ma solo relativamente a tale periodo “eccedente”.
Ovviamente in questo caso andranno accuratamente verificate tutte le fasi della procedura, la quantità di creditori concorsuali, le questioni indotte dalla verifica dei crediti, le controversie giudiziarie, l’entità del patrimonio da liquidare e la consistenza delle operazioni di riparto.