I malati di lavoro esistono: si chiamano workaholics, non staccano mai (o meglio, non riescono a staccare) e mostrano una eccessiva dedizione al lavoro, che li porta a tralasciare relazioni e interessi al punto di scordarsi di se stessi.
Per approfondimenti – Stress e lavoro
Come ogni tipo di ossessione o comportamento compulsivo il Workaholism comporta aspetti pratici della subordinazione (azioni ripetitive inderogabili) e mania di controllo sulle proprie attività. Il tratto più subdolo della dipendenza da lavoro? L’essere congruente con le aspettative: essere produttivi è infatti uno degli “obblighi” non solo aziendali ma anche sociali.
L’80% dei lavoratori mostra una tendenza pericolosamente borderline (dati Good Technology) , con una media di lavoro extra di circa 7 ore a settimana (una giornata lavorativa). Liberi professionisti e imprenditori sono i soggetti più a rischio perché non vincolati ad orari fissi, riducendosi a superare i confini tra produttività e ossessione. Il 50% controlla la propria casella di posta elettronica in qualunque momento (anche a letto), il 38% legge e scrive email di lavoro anche a tavola ed il 25% confessa conflitti seri con il partner a causa dell’iper-lavoro.
Come prevedibile, dunque, di questa patologia pagano le conseguenze la famiglia e le relazioni sociali, oltre che la salute. E la gratificazione nel sentirsi riconosciuti a livello sociale o decisionale – o nel placare sensi di colpa inconsci che nulla hanno a che fare con il lavoro – conduce spesso a negare il disturbo.
Malati di lavoro: i test
Il sito dei Workaholic Anonymous ha delineato 20 caratteristiche proprie della dipendenza, che si fondano sulle 6 originarie teorizzate nel libro W.A. Book of Recovery. Se dalla lettura ci si riconosce in una o più di esse allora conviene forse porsi qualche domanda:
- Si basa la propria autostima sulle prestazioni lavorative e sui risultati raggiunti;
- Non si riesce a smettere di lavorare nel timore di non completare alcuni compiti;
- Ci si sente più capaci e intelligenti degli altri o, viceversa, più incapaci e inutili;
- Si tende a focalizzarsi su ciò che non va;
- Si rifugge dalle vere emozioni attraverso il lavoro;
- Si tende a trascurare le relazioni interpersonali (tranne quelle legate al lavoro), affetti e interessi.
Per una autovalutazione ancora più dettagliata è stato formulato un test di rischio: basta provare a ritrovarsi nelle 25 situazioni proposte dal Work Addiction Risk Test. Esiste anche una scala per misurare della dipendenza apparsa nel 2012 sullo Scandinavian Journal of Psychology (Development of a work addiction scale – Andreassen, C. S., Griffiths, M. D., Hetland, J. & Pallesen, S.). Il questionario si basa su 7 domande con 5 possibilità di risposta: mai; raramente; qualche volta; spesso; sempre. Se le annotazioni spesso e sempre appaiono almeno 5 volte c’è un disturbo che va affrontato:
- Pensate a come potreste avere più tempo da dedicare al lavoro?
- Passate molto più tempo al lavoro di quanto previsto?
- Lavorate con l’obiettivo di ridurre il senso di colpa, ansia, impotenza o depressione?
- I vostri cari vi hanno già detto di ridurre il tempo dedicato al lavoro ma voi non li avete ascoltatati?
- Vi sentite male o a disagio quando non potete lavorare?
- Trascurate i vostri hobby e piaceri a causa del lavoro?
- Il vostro lavoro ha ripercussioni negative sulla salute?
Liberarsi dalla dipendenza
In analogia all’alcolismo, esistono tre fasi del percorso verso la dipendenza:
- nascosta – meno vita sociale e più depressione, nervosismo, mal di testa e di stomaco;
- manifesta – possibile aggressività, pressione alta, disturbi cardiaci, ulcera;
- cronica – il lavoro satura la vita privata, con tutte le conseguenze del caso.
Se ci si riconosce anche solo nella prima, o una certa inclinazione alla dipendenza è confermata dai test, allora il primo passo è mettere una certa distanza dagli apparecchi tecnologici (smartphone, pc portatili e tablet) perché inducono “in tentazione”. Bisogna imporsi vere e proprie regole di utilizzo: per esempi,o mai durante i pasti, in auto o all’aria aperta.
Per andare alla radice del problema, tuttavia, bisogna analizzare il conflitto interiore che scatena la compulsività e crea l’esigenza di non pensare: qualsiasi psicoterapeuta è in grado di trattare questi disturbi.