Man mano che le nostre città si trasformano in “Smart City“, si concretizzeranno inedite opportunità di business e risparmio per le PMI italiane. Così vuole l’Europa e anche il Governo: lo dimostrano i bandi di ricerca pubblicati negli ultimi mesi e quelli in arrivo.
Opportunità che le aziende più innovative potranno cogliere, mentre le altre resteranno indietro, a quanto confermano a PMI.it i principali esperti di questo tema in Italia.
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Smart City: bandi e progetti
Vediamo per prima cosa il quadro dei bandi di gara, perché in tutto questo fermento è facile perdere il filo delle cose in ballo.
Nel 2012 è arrivato il primo Bando Nazionale dedicato alle Smart City da 665 milioni di euro e si è concluso quello per “Smart Cities & Communities” rivolto alle sole regioni meridionali (200 milioni di euro). In ogni caso, si tratta di risorse comunitarie FESR 2007-2013 (Fondo europeo di sviluppo regionale) con bandi sotto la responsabilità del MIUR.
Il primo passo è dunque approvare idee progettuali, che coinvolgono una pubblica amministrazione precisa (un ospedale, un Comune, la protezione civile…), da rendere più smart grazie a una tecnologia specifica, la quale comunque deve rispondere a una concreta esigenza dei cittadini.Il MIUR aggrega poi le idee simili, trasformandole in progetti sperimentali in specifiche aree. Questi diventano infine applicazioni utilizzabili da qualsiasi PA nazionale (tramite Cloud Computing).
Applicazioni smart
Il concetto base per capire l’idea di Smart City è che l’Europa vuole utilizzare la tecnologia per migliorare la vita dei cittadini partendo dai problemi più urgenti: l’invecchiamento della popolazione, il sovraffollamento delle città, l’emergenza ambientale, la crisi delle energie non rinnovabili, gli alti costi delle pubbliche amministrazioni (problema attualissimo da noi, in tempi di Spending Review).
Ecco perché i progetti per Smart Cities si occupano prevalentemente di energia, di infomobilità, di e-government, di tele-assistenza e telemedicina.
Non dovremo inventare cose fantascientifiche. «La tecnologia è già disponibile, ora tutto sta a utilizzarla e per questo bisogna riorganizzare le città», dice Francesco Sacco, docente dell’Università dell’Insubria e di EntER Bocconi, specializzato in questioni digitali.
A questo scopo va anche ri-orientata l’Industria. A questo scopo è stato lanciato lo scorso anno anche il Bando Cluster Tecnologici – dove le smart cities sono uno dei temi chiave – per potenziare i distretti tecnologici esistenti creando sette cluster nazionali che aggreghino competenze pubblico-private (imprese, università e altre istituzioni di ricerca) in vari territori su predeterminate tematiche (energia, agro alimentare, aerospazio, chimica verde).
Altri bandi di ricerca in ambito smart cities sono hanno sfruttato i 9 miliardi di euro a livello europeo messi a disposizione dal Settimo Programma Quadro 2007-2013 e gli 80 miliardi di euro del nuovo programma comunitario Horizon 2020.
Tutto questo fermento intorno al concetto di smart cities è traducibile in un investimento cumulato di 116 miliardi di dollari nel mondo tra il 2010 e il 2016 (fonte: Abi Research); in Italia, saranno 4,45 miliardi di euro dal 2013 al 2015 (secondo Netics).
Smart cities: i vantaggi per le PMI
Parte di questo denaro finirà nel tessuto industriale, anche delle piccole e medie imprese italiane, direttamente. Non solo attraverso i bandi ma anche per le commesse che arriveranno dalla PA: a vantaggio delle aziende che producono beni e servizi innovativi. Le PMI dovrebbero uscire rafforzate dalla rivoluzione smart city anche indirettamente: l’ecosistema città, divenuto smart, dovrebbe renderle infatti più efficienti e più competitive sul mercato internazionale, secondo gli esperti.
Ne è convinto Mario Calderini, massimo esperto di questo tema in Italia: oltre a essere docente presso il Politecnico di Torino, è il responsabile della divisione “Smart Cities & Communities” gestita dal MIUR all’interno della Cabina di Regia interministeriale che sta lavorando alla prima Agenda digitale italiana (pacchetto di norme che vedrà la luce a settembre).
«Si va verso un circolo virtuoso, che avvantaggerà anche le PMI», dice Calderini. «Quando i Comuni diventeranno smart dovranno prendere alcuni appalti, per esempio per fare lampioni intelligenti, e quindi porteranno ricavi alle aziende innovative. Alzare il livello tecnologico degli acquisti costringe inoltre le imprese, a loro volta, a potenziare le proprie capacità di fare innovazione. Costruiamo così competenze, nel nostro tessuto industriale, che poi si dimostreranno utili a conquistare quote sul mercato internazionale», spiega.
«Le aree che se ne avvantaggeranno di più sono quelle del biomedicale – delle tecnologie per il controllo a distanza di pazienti e anziani – e delle energie rinnovabili», prevede Calderini.
«Ma sono buone notizie anche per le aziende che producono software di gestione e sensoristica per il machine to machine», aggiunge. L’Italia ha molte competenze nell’ambito M2M, che però finora hanno potuto esprimersi perlopiù sui mercati stranieri. Adesso è il momento del riscatto: saranno piene di M2M le città del futuro, per esempio per monitorare il traffico, per occuparsi della sicurezza del territorio attraverso reti di sensori; per le smart grid (reti intelligenti per produzione e distribuzione di energia tramite fonti distribuite).
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«Questo nuovo filone di investimento sarà anche un’opportunità per sviluppare nuovi spazi imprenditoriali per le PMI più innovative e intraprendenti», concorda Sacco. «Perché i servizi delle smart city saranno sviluppati come una piattaforma realizzata dalla PA ma, con ogni probabilità, inventati e gestiti da privati. Un cambiamento copernicano per la PA: da gestore a playmaker, da erogatore di servizi ad abilitatore», continua.
«Le PMI che se ne avvantaggerebbero sono quelle che lavorano su modelli aperti di innovazione. Per esempio nella domotica: lavatrici che dialogano con la grid e fanno consumare di meno sfruttando gli orari di basso carico; servono sistemi domestici che controllino i consumi elettrici, come quelli adottati ad Amsterdam. Se no non c’è risparmio. Non basta la smart grid, non basta la smart city: serve anche la smart home», aggiunge Sacco. E le Pmi sapranno popolare le case italiane di innovazioni.
Un altro campo che darebbe opportunità di sviluppo alle PMI, nell’alveolo della filosofia smart city, è l’open data. È nei propositi dell’Agenda digitale rendere aperti i dati della PA. Significa due cose: a pubblicare online inventari su tutti i dati che queste possiedono e a fornire dati specifici su richiesta di cittadini o aziende. «Una start-up potrà quindi andare dal Comune e farsi dare tutti gli orari dei mezzi pubblici, per costruirci sopra un’applicazione GPSper cellulare.
Per molte aziende sarebbero una miniera d’oro i dati storici della viabilità: le consegne sarebbero più rapide ed efficienti, perché sceglierebbero i percorsi che statisticamente sono più rapidi ora per ora», spiega Juan Carlos De Martin. È cofondatore del Centro Nexa su Internet & Società del Politecnico di Torino e sta seguendo da vicino il debutto degli open data in Italia.
Questa crescita di efficienza del sistema fa poi bene a tutti, PMI comprese. «Le imprese potranno avere rapporti tutti online con la PA. E consideriamo che andare in un ufficio pubblico a fare la fila è un onere soprattutto per le piccole imprese, più che per le grandi», dice Sacco. «Le aziende che fanno business con le consegne di prodotti hanno vantaggi se il traffico diventa più razionale grazie a servizi innovativi di infomobilità – continua. Di conseguenza, sarebbe un bene anche per tutte quelle che fanno e-commerce». Cioè potenzialmente quasi tutte le aziende italiane.«La diffusione delle smart grid incentiva infine le PMI a installare sistemi per l’energia rinnovabile e così risparmiare sulla bolletta energetica».
Insomma: nuove fonti di ricavo, più efficienza e risparmi. Sono queste le opportunità che verranno dalle smart city. Purché le PMI e più in generale l’Italia saranno in grado di coglierle.