La riforma delle pensioni (Legge 214/2011) ha rivoluzionato le aspettative degli Italiani su quelli che sono i propri diritti dopo anni di lavoro: i lavoratori di oggi vedono la propria pensione sempre più lontana ed anche più povera, con assegni previdenziali più leggeri dal 2013.
Come confermano le stime della Ragioneria Generale dello Stato, l’obbligo di rimanere più a lungo nel mercato del lavoro – a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile – avrà solo in parte l’effetto di rendere gli assegni più ricchi grazie ai maggiori contributi versati: la crisi economica potrebbe rovesciare drammaticamente la situazione riducendo l’assegno pensionistico finale.
Vediamo perché.
Importo delle pensioni
Uno degli effetti della riforma è che l’importo della pensione sarà direttamente proporzionale a quanto versato, calcolato moltiplicando montante contributivo e coefficiente di trasformazione.
I coefficienti di trasformazione sono stati però ridotti: dal 2013 verranno rideterminati con cadenza triennale, e dal 2021 con cadenza biennale, sulla base dell’età anagrafica e delle rilevazioni demografiche. Questo significa che con l’aumentare dell’aspettativa media di vita i coefficienti andranno riducendosi nel tempo.
La somma dei contributi versati va rivalutata ogni anno secondo un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del PIL. In pratica, la recessione avrà effetti cruciali sull’ammontare degli assegni pensionistici futuri.
In sostanza quindi, perché l’assegno pensionistico sia realmente cospicuo (o perlomeno dignitoso) è necessario che l’economia italiana vada bene, o perlomeno migliori, che la vita lavorativa dell’individuo sia lunga e soprattutto costante. Solo su queste ipotesi è presumibile che l’assegno pensionistico sia più ricco a seguito della riforma delle pensioni.
Quadro normativo di riferimento
Il Report RGS 2012 avanza stime a medio e lungo termine sulla spesa previdenziale e sanitaria dopo le recenti manovre – DL 98/2011 (convertito con L 111/2011), DL 138/2011 (convertito con L 148/2011), DL 201/2011 (convertito con L 214/2011), Legge di Stabilità per il 2012 (L 183/2011) e DL 216/2011 (convertito con L 14/2012) – alla luce degli effetti delle misure già inglobate nelle previsioni del precedente Rapporto.
Per quanto riguarda il particolare la riforma delle pensioni, le novità si sintetizzano così:
- eliminazione delle differenze di genere nell’accesso alla pensione di vecchiaia anche nel settore privato;
- adeguamento alla speranza di vita del requisito contributivo minimo per il pensionamento anticipato con il solo canale indipendente dall’età anagrafica;
- eliminazione del pensionamento anticipato con il requisito congiunto età-anzianità contributiva (cosiddetto sistema delle “quote”).
Effetti che si sommano alla riduzione del grado di indicizzazione delle pensioni ai prezzi, per il biennio 2012-2013, e all’aumento delle aliquote contributive dei lavoratori autonomi.
L’età pensionabile salirà così da una media di 60-61 anni del periodo 2006-2010 agli oltre 67 anni a partire dal 2030, per arrivare a quasi 69 anni nel 2050. In tale periodo il rapporto spesa/PIL cumulato sarà di circa 60 punti percentuali proprio per effetto della recente riforma delle pensioni.