La riforma delle pensioni operata dal ministro del Welfare Elsa Fornero cambierà radicalmente il modo di vivere dei lavoratori di oggi e pensionati di domani: a confermarlo è il rapporto “Prospettive OCSE sulle pensioni 2012”, che evidenzia come i pensionati di oggi siano l’ultimo baluardo di un tempo in cui, terminato di lavorare, si poteva vivere della propria pensione.
Pensionati 2012
“Età d’oro per le pensioni e per i pensionati” la definisce l’OCSE, riferendosi a coloro che attualmente stanno già godendo dei diritti previdenziali conquistati negli anni di lavoro.
Secondo il rapporto, i pensionati di oggi sono più ricchi anche di quelli del passato, o perlomeno lo sono gli anziani: confrontando i dati con quelli di metà anni ’80, il numero di persone anziane che vivono in povertà è diminuito del -25%. Aumenta poi la speranza di vita: +3,5 anni per i 65enni di oggi rispetto alla generazione precedente.
Per i pensionati di domani, ovvero quelli che matureranno i requisiti per il pensionamento con le nuove regole, il futuro non si prospetta altrettanto roseo.
Il rapporto OCSE ha esaminato proprio i cambiamenti nel panorama delle pensioni, guardando gli effetti delle varie riforme dei sistemi pensionistici durante e dopo la crisi, i tipi di meccanismo di aggiustamento automatico, i cambiamenti introdotti dalle riforme sistemiche delle pensioni nell’Europa centrale e orientale, lo sviluppo dei regimi pensionistici privati e le garanzie offerte dai fondi di previdenza complementare a contribuzione variabile.
I sistemi pensionistici, erano già stati trasformati nel decennio precedente, sottolinea l’OCSE, e a seguito della crisi finanziaria sono stati radicalmente riformati, spesso sotto la pressione del consolidamento fiscale e dei mercati finanziari internazionali. Dunque, per i giovani di oggi aumenta il tempo che trascorreranno nel mondo del lavoro, prima di poter accedere alla pensione, che comunque sarà più leggera trascinandosi dietro gli effetti della crisi che ha investito le economie mondiali a partire da fine 2007.
Età pensionabile
Il cambiamento diffuso tra i Paesi OCSE è stato l’aumento dell’età pensionabile, adottato da più della metà dei Governi e portata nella maggioranza dei casi a 67 anni (in 13 Paesi si è andati oltre).
In generale, almeno sul fronte dell’età pensionabile, c’è parità di trattamento tra uomo e donna. In 14 Paesi sono state messe in campo misure di incentivazione per rimanere più al lungo nel mercato del lavoro, o anche penalizzazione per chi va in pensione anticipata.
Secondo il rapporto OCSE aumentare l’età pensionabile rappresenta una evoluzione positiva per il Paese ed i suoi lavoratori che comporterebbe sostanzialmente 4 vantaggi:
- si lavora di più perché si vive di più, aumenta la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici in maniera meno dolorosa che aumentando le tasse;
- si garantisce una più equa distribuzione dei costi dell’invecchiamento tra le diverse generazioni e si mitigano gli effetti delle riduzioni delle prestazioni pensionistiche sui redditi da pensione con periodi di contribuzione più lunghi;
- dà un taglio alle inefficienti politiche che puntavano a far uscire dal mercato del lavoro in anticipo, usufruendo di congedi di malattia a lungo termine, dell’invalidità o della pensione di vecchiaia per creare nuovi posti di lavoro, una strategia fallace secondo l’OCSE;
- permette di rilanciare la crescita economica nei Paesi più “vecchi” in contesti di crescita lenta o di calo della forza lavoro.
Per questi motivi «la tendenza ad innalzare l’età pensionabile anche al di sopra dei 67 anni dovrebbe essere incoraggiata. Un modo efficace e trasparente di farlo è quello di legare istituzionalmente l’età pensionabile alla speranza di vita, come in Danimarca e in Italia», si legge nel rapporto.
Assegni di pensione
Le riforme delle pensioni di questi anni hanno portato ad una riduzione degli assegni di pensione tra un quinto e un quarto, con l’obiettivo di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici.
Attualmente il “tasso di sostituzione netto”, ovvero la proporzione tra pensione e stipendio, è inferiore al 50% nella metà dei Paesi OCSE. Questo significa che chi va in pensione deve aspettarsi una pensione pubblica netta corrispondente a metà, o meno, degli stipendi netti.
Il tasso di sostituzione netto offerto da tutte le prestazioni obbligatorie (che includono gli schemi pensionistici privati), invece, è di circa il 69%. Da considerare che 13 Paesi obbligano tutti i lavoratori a partecipare a tali tipi di fondi integrativi. Dove queste sono facoltative, sono sottoscritte da meno della metà dei lavoratori.
Secondo l’OCSE «rendere obbligatori i fondi pensione privati sarebbe la soluzione ideale per eliminare il gap previdenziale e garantire l’adeguatezza delle prestazioni».
Questo però potrebbe essere percepito come una nuova tassa, «un’alternativa potrebbe essere quella di far aderire automaticamente i lavoratori a questo tipo di piani pensionistici, consentendo loro al tempo stesso di decidere di non partecipare entro un certo periodo di tempo (la cosiddetta “auto-adesione”)».
Adeguatezza delle prestazioni
Rivolgendosi ai responsabili politici, infine, l’OCSE suggerisce di agire su tre fronti per migliorare l’adeguatezza delle prestazioni:
- «garantire che i contributi versati per i piani pensionistici privati siano sufficienti per raggiungere l’obiettivo di aumentare il reddito da pensione»;
- «limitare la fuga da tali sistemi restringendo la possibilità di ritirarsi precocemente e di pagare un’unica somma forfettaria»;
- «promuovere strategie d’investimento e strumenti a basso costo e a rischio mitigato sia durante il periodo di accumulo del capitale che durante il periodo della pensione, quando le prestazioni vengono erogate».