Come previsto, il Governo ha chiesto il voto di fiducia sul ddl di riforma del lavoro in Senato. Non si procederà però con un unico voto su un singolo maxi-emendamento: l’Esecutivo si prepara a presentare 4 provvedimenti, ognuno dei quali blindato, come richiesto in Aula dal ministro dei rapporti con il Parlamento, Piero Giarda.
I 4 emendamenti dell’Esecutivo riguardano: flessibilità in entrata, flessibilità in uscita, ammortizzatori sociali, formazione e politiche per l’impiego.
L’obiettivo è stringere i tempi, per arrivare all’approvazione della riforma del lavoro in Senato entro fine mese (l’iter a Palazzo Madama si conclude il 31 maggio). La presentazione di soli 4 emendamenti eviterà il lungo dibattito che sarebbe stato necessario per discutere degli circa 600 correttivi presentati da gruppi parlamentari e singoli senatori.
I 4 emendamenti su cui i senatori saranno chiamati a dare voto di fiducia recepiranno i cambiamenti approvati dalla commissione Lavoro del Senato, con le necessarie modifiche di coordinamento normativo e alcuni aggiustamenti sulle clausole di natura finanziaria.
Riassumiamo le principali modifiche apportato al ddl in Commissione.
1. Flessibilità in entrata
Si allenta la stretta sulle partite IVA, con l’introduzione del tetto di 18mila euro di reddito lordo annuale al di sopra del quale la collaborazione autonoma verrà considerata reale e non scatterà alcun obbligo di trasformazione del contratto. Meno severi anche i criteri che obbligano a trasformare il contratto: passano da sei a otto i mesi di collaborazione necessaria, si alza soglia del corrispettivo. Resta l’indicazione della postazione fissa in ufficio.
Per i co.co pro. arriva il salario base, calcolato sulla media dei contratti collettivi di riferimento, e viene rafforzata l’una tantum che arriva a 6mila euro per chi ha lavorato almeno sei mesi nell’ultimo anno.
Allentamento anche sugli apprendisti, che le imprese possono assumere anche se non hanno trasformato a tempo indeterminato il 50% dei contratti nell’ultimo triennio (come prevedeva il testo originario del ddl).
Infine, misure p morbide anche in materia di contratti a termine: passa da sei mesi a un anno la durata del contratto a tempo determinato senza bisogno di causale mentre è stato ridotto a 20 giorni (da 30) l’intervallo consentito fra contratti a termine in alcuni particolari casi (come l’avvio di una nuova attività).
2. Flessibilità in uscita
Sulla flessibilità in uscita le modifiche rispetto al testo originario del ddl sono limitate. C’è una limitazione alla discrezionalità del giudice nello stabilire il reintegro nei casi di licenziamenti disciplinari (è sparito il riferimento alla legge, resta solo quello ai contratti collettivi). Si regolamenta meglio la conciliazione obbligatoria che scatta nel caso di licenziamenti economici, evitando di fatto la possibilità di usare la malattia per prolungare i termini della cessazione del contratto.
3. Ammortizzatori sociali
C’è una novità relativa all’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego introdotta da questa riforma del lavoro: ci sono tre anni di sperimentazione, dal 2013 al 2015, durante i quali il lavoratore licenziato può chiedere di ricevere l’Aspi in un’unica soluzione, al fine di aprire un’attività, fino a un massimo di 20 milioni per ciascun anno.
È stata reintrodotta l’esenzione dal ticket per i disoccupati a basso reddito e i familiari.
4. Altre misure
Ci sono poi una serie di altre novità introdotte dagli emendamenti approvati in commissione che riguardano il mercato del lavoro nel complesso e in alcuni casi il gender gap.
Innanzitutto, c’è un delega al Governo per introdurre la possibilità della partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione dell’azienda. Da sottolineare che su questo punto si è recentemente espresso in senso contrario il neo insediato presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che non ritene corretto decidere per legge questioni come questa.
Sul divario degli stipendi uomo-donna, è stato accolto un ordine del giorno dell’Idv che impegna il governo a definire, in collaborazione con le parti sociali, entro un anno dall’approvazione della legge, misure che consentano di superare il gap retributivo fra generi entro il 2016.
C’è un novità anche sul fronte del congedo parentale, con un giorno di congedo obbligatorio per i papà alla nascita del figlio, che si aggiunge alle 20 settimane a cui ha diritto la mamma. Ci sono poi altri due giorni facoltativi che invece si scalano dalle 20 settimane di maternità.
C’è un rafforzamento delle norme che mirano a impedire le dimissioni in bianco.
Una misura riguarda i redditi da locazione, con il taglio della deducibilità Irpef ridotto al 7%.
Dichiarazioni Fornero
Nell’intervento nell’aula del Senato il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha fortemente difeso la riforma del lavoro, la cui approvazione è «un atto di estrema importanza» perché il Paese «ne ha un grande bisogno, sotto molti profili, per riprendere un percorso di crescita da troppo tempo abbandonato». Fornero ha ribadito l’apprezzamento per il lavoro della Commissione, che «ha contribuito migliorare il testo della riforma».
Nel merito dei contenuti del provvedimento, ha ricordato come l’obiettivo è che nel mondo del lavoro il contratto a tempo indeterminato diventi «il modello vincente, pur considerando la maggiore flessibilità e la maggiore mobilità dei lavoratori». Ha insistito sulla differenza fra flessibilità buona e cattiva, che «in passato non è servita a promuovere la competitività ma ha permesso di galleggiare».
Sull’articolo 18, ha puntualizzato che «non è stata usata l’accetta» nel decidere le modifiche: «abbiamo limitato alcune applicazioni eccessivamente punitive nei confronti delle imprese e quindi dei lavoratori e della loro occupabilità», e in generale la disciplina sanzionatoria sui licenziamenti risulta ora «in linea con gli standard europei».
Il ministro sottolinea come quello del lavoro sia un tema delicato e fondamentale, perché forse come nessun’altra riforma «tocca, in altrettanta profondità, tutta la società: famiglie, imprese e istituzioni».
Il ddl «non è una bacchetta magica, che possa risolvere tutti i problemi del Paese», ma gli obiettivi del provvedimento sono «il recupero dell’occupazione, della produttività e del reddito» e «anche e soprattutto» quello di «tracciare un percorso di recupero della dignità, attraverso la riappropriazione di un futuro di crescita».
La parola a Palazzo Madama, dove con ogni probabilità entro maggio, con i quattro voti di fiducia il testo verrà approvato, e quindi approderà alla Camera.