In tempi difficili trovare valide ricette anti-crisi è un must per le imprese: per le PMI, una scelta vincente è quella di puntare sulle esportazioni di prodotti Made in Italy verso i paesi emergenti. Le stime sono confortanti: +48% entro il 2017, per un valore di 136 miliardi di euro ed un incremento di 44 miliardi.
Le imprese italiane del Made in Italy sono oltre 13mila, di cui l’89% sono PMI: lo rileva il report “Esportare la dolce vita” di Centro Studi Confindustria e Prometeia, che analizzando questo mercato ha individuato criticità e opportunità per la crescita delle imprese: «entrare nei nuovi mercati può essere difficile per le PMI italiane, considerate le grandi distanze geografiche e talvolta culturali da colmare per raggiungerli, soprattutto i giganti asiatici», si legge nello studio. Ma «un’attenta valutazione delle potenzialità dei consumi, la scelta dei veicoli ottimali di promozione e il vaglio delle eventuali barriere commerciali sono punti di partenza fondamentali per rinnovare una storia di successo».
Export BBF
La definizione di prodotti “belli e ben fatti” (BBF) riguarda un preciso segmento di mercato: prodotti di fascia medio-alta, ma non ancora di lusso, dei settori alimentare, abbigliamento e tessile-casa, calzature, arredamento. Un sottoinsieme del Made in Italy che valeva 51 miliardi di euro a fine 2011, pari al 14% delle esportazioni manifatturiere totali italiane. Il 36% viene dall’alimentare, il 32% dall’abbigliamento e tessile casa, il 14% dalle calzature e il 18% dai beni d’arredo.
Le potenzialità dei mercati BRIC
L’analisi di mercato parte da una considerazione: nel 2017 nel mondo ci saranno 192 milioni di nuovi ricchi in più rispetto al 2011, la metà dei quali proverrà dai grandi centri urbani di Cina, India e Brasile. Una classe benestante che si sta ampliando anche in paesi più vicini all’Italia (e quindi più abbordabili per le PMI italiane) come Russia, Polonia, Turchia.
Il report considera l’andamento della domanda di prodotti BBF in 30 paesi emergenti: oltre alle quattro grandi economie BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), buona parte dei paesi dell’Europa Orientale (Ucraina, Turchia, Kazakistan), molti dei quali fanno parte della Ue (Polonia, Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia), il NordAfrica e il Medioriente (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria), gli emergenti asiatici (Tailandia, Malesia, Indonesia, Vietnam) e l’America Latina (Messico, Ccile, Colombia, Argentina e Perù).
Il valore totale delle importazioni di questi paesi al 2017 sfiorerà i 136 miliardi di euro (135,886 mld), con un incremento del 48,2% sul 2011 che vale 44 miliardi. Per far un confronto, l’import delle economie mature varrà 440 miliardi, quinti la quota continuerà ad essere superiore, ma l’incremento rispetto a oggi largamente inferiore: +27,3%, ovvero 94 miliardi. Risultato: un’impresa deve stare ben attenta a non perdere di vista il posizionamento sui mercati maturi, ma i margini di crescita sugli emergenti sono superiori di 20 punti percentuali.
Passando all’Italia in particolare, la quota nei 30 emergenti analizzati era nel 2010 pari al 7,9%. Calcolando che rimanga tale, il valore delle esportazioni italiane verso quei paesi arriverà nel 2017 a 10,3 miliardi, quasi 3,2 miliardi in più rispetto al 2011. Attenzione: il valore è inferiore rispetto al report dello scorso anno, che si basava sulla quota italiana del 2009, che era più alta. Ma la flessione è attribuibile soprattutto alla quota sull’import russo, precipitata nel 2010 ma già in recupero da inizio 2011. In generale, il report evidenzia che «un utilizzo ottimale dei veicoli di promozione del BBF» verso gli emergenti «e un’analisi attenta degli ostacoli all’ingresso in questi mercati» possono rendere quella di 10,3 miliardi una stima prudente, destinata cioè a essere superata.
La distribuzione della nuova domanda
Un terzo della domanda aggiuntiva al 2017 (i 44 miliardi) arriverà da Russia, Cina ed Emirati Arabi Uniti. Questi tre paesi nel 2017 conterranno per l’import mondiale di BBF più di quanto oggi pesano singolarmente Francia o Spagna.Molto importante anche il posizionamento della Polonia, dell’Arabia Saudita, del Messico.
In termini di crescita percentuale (quindi di velocità di crescita), il tasso maggiore è quello dell’India, che in sei anni raddoppierà le importazione di BBF. Tassi di crescita sopra il 70% per Indonesia e Vietnam, sopra il 60% per Malesia e Tailandia.
Incrociando i vari dati, Emirati, Kazakistan, Polonia, Arabia Saudita e Malesia saranno tra i paesi che assorbiranno almeno il 5% ciascuno dei 44 miliardi di importazioni aggiuntive previste al 2017.
Per quanto riguarda la quota italiana, la parte del leone spetta all’Export verso la Russia (incremento di 994 mld, totale 2017 a 3,1 miliardi). Crescita a tre cifre anche verso Cina, EAU, Arabia Saudita, Polonia, Repubblica Ceca.
Da sottolineare infine che fra i 30 paesi presi in considerazione ne manca almeno uno che ha un futuro promettente, pur restando per ora ai margini del mercato di BBF, ovvero il Sudafrica. Si segnalano anche le prospettive di Iran e Nigeria.
Le prospettive nei quattro settori
La crescita maggiore arriverà dall’arredamento: gli acquisti di questi paesi di arredo BBF arriveranno a 31 miliardi di euro nel 2017, 13 miliardi in più rispetto al 2011 (+72%). I primi quattro importatori sono Cina, India, Russia ed Emirati. L’Asia avrà la domanda più dinamica.
L’arredamento è il settore in cui la quota italiana di importazioni BBF è più elevata, pari all’11,2% nel 2010. Le esportazioni italiane nel segmento saliranno a 3,3 miliardi di euro nel 2017, dai 2 miliardi del 2011.
L’aumento dell’import delle calzature in questi paesi sarà del 57%, arrivando a quasi 16 mld nel 2017 (dai 10 del 2011). Gli incrementi percentuali maggiori riguarderanno Asia (soprattutto India e Vietnam) e Medioriente, lo sbocco più rilevante in termini assoluti resta la Russia, seguita da Kazakistan ed Emirati.
L’Italia, a parità di quota di mercato (10,5% nel 2010), arriverebbe a 1,6 miliardi, con un aumento assoluto di oltre 500 milioni, di cui 300 da Russia e Ucraina.
Per quanto riguarda abbigliamento e tessile-casa, le importazioni al 2017 raggiungeranno i 50 miliardi, +45% sul 2011 con un incremento di 15 mld. Anche qui, l’Asia è la zona più dinamica, l’Est Europa e soprattutto la Russia ha la quota più elevata di importazioni.
A quota invariata (8,0% nel 2010), l’import dei paesi emergenti dall’Italia salirebbe a 3,8 miliardi nel 2017, dai 2,7 miliardi nel 2011. Il 40% della domanda incrementale arriverebbe dalla Russia.
Infine, l’alimentare. Le importazioni saliranno a 40 miliardi, 10 miliardi sopra il livello del 2010 con un incremento del 35%, doppio di quello che si osserverà nei mercati maturi (16%). La Russia resterà il principale mercato di sbocco, ma una buona metà della domanda aggiuntiva arriverà da Cina, Russia, Messico, Vietnam e Polonia.
A quota invariata (5,1% nel 2010), le esportazioni italiane crescerebbero di quasi 500 milioni di euro, arrivando a 2 miliardi nel 2017. Metà dell’incremento arriverebbe da Russia, Cina, Polonia, Repubblica Ceca e Brasile.
I veicoli migliori per esportare
Come si vede le prospettive di questi mercati sono enormi, ma le imprese italiane si trovano a dover fronteggiare una serie di difficoltà nel mettere a punto le proprie strategie, in primis a causa dell’alta concorrenza (visto il calo della domanda europea, l’interesse va agli emergenti). Altro ostacolo: le barriere commerciali spesso esistenti in questi paesi, a protezione delle produzioni nazionali.
Sei i veicoli di sviluppo principali individuati: fiere, grande distribuzione, turismo, immigrazione (sia gli italiani all’estero sia gli immigrati stranieri in Italia sono ambasciatori del Made in Italy ne mondo), cinema (vetrina del Made in Italy), istruzione (presenza di scuole d’arte e di design). I primi due sono strumenti operativi, gli altri sono più trasversali e di sistema.
L’identikit delle imprese: primato PMI
Nei quattri settori esaminati, in Italia lavorano 16mila403 imprese esportatrici. Di queste, 13mila130 (l’80%) vendono prodotti BBF. Rappresentano il 20,5% delle imprese sportatrici della manifattura.
L’89% delle imprese esportatrici di BBF è rappresentato da PMI, con meno di 50 addetti. Spesso si tratta di micro imprese.
Il numero più elevato di imprese BBF si concentra nell’ abbigliamento, con oltre 4mila imprese di cui la metà sono micro, e per l’alimentare, con 3.732 imprese di cui la metà con meno di 10 addetti. Nei settori arredamento e calzature prevalgono realtà con 10-49 addetti, rispettivamente 1.702 e 836 imprese.
Queste imprese si localizzano nella metà dei casi in distretti manifatturieri. Quanto alla ripartizione geografica, il 29% ha sede nel Nord-Est, il 26% nel Nord- Ovest, il 25% al Centro e il 20% al Sud.
Le imprese dell’alimentare sono localizzate prevalentemente nel Mezzogiorno (34,4%), quelle dell’abbigliamento e delle calzature al Centro (rispettivamente il 30,0% e il 50,0%) e quelle dell’arredamento in maggioranza al Nord-Est (41,0%).
Anche guardando i numeri relativi all’occupazione emerge il primato delle PMI. Circa due addetti su tre lavorano presso aziende-BBF piccole e medie. La quota di occupazione delle imprese-BBF è il 15% del totale degli addetti delle imprese esportatrici: impiegano circa
380mila addetti e la dimensione media aziendale è pari a 29,1 addetti, inferiore a quella del totale delle imprese esportatrici italiane.