«Useremo la liquidità della Bce per finanziare imprese e famiglie»: la promessa è stata fatta da Giovanni Sabatini, direttore generale dell’ABI, davanti ai parlamentari della commissione Bilancio della Camera che si è tenuta lo stesso giorno della maxi asta della Bce all’1%, la seconda dopo quella di dicembre.
Una massiccia iniezione di liquidità al sistema bancario, a cui sono andati circa 530 miliardi di euro, che lo stesso governatore centrale europeo, Mario Draghi, nelle scorse settimane aveva auspicato servisse a sostenere l’economia reale e l’accesso al credito delle imprese.
Insomma, i banchieri continuano a promettere che i soldi andranno al sistema delle imprese le quali, soprattutto le Pmi (che in Italia soffrono particolarmente la stretta al credito) a loro volta continuano ad auspicare che si vada in questo senso.
In effetti, il senso delle ultime operazioni della Banca Centrale Europa è esattamente questo: far ripartire l’economia in un momento in cui la crisi economica, fra le altre cose, ha creato un corto circuito che si è tradotto anche in una difficoltà delle stesse banche a reperire liquidità.
L’asta della Bce
Partiamo dall’operazione di Francoforte anche per capire quanti dei 530 milioni sono arrivati nelle casse delle banche italiane. La partecipazione degli istituti di credito europei è stata ben più alta che in dicembre: 800 banche, dopo le 529 che avevano partecipato all’asta di dicembre. Questa volta ai big si sono aggiunti molti istituti di credito di medie dimensioni, e questo fa intravedere un effetto positivo particolarmente sulle Pmi, che rappresentano una buona fetta di clientela per questo tipo di banche.
Un altro dato positivo per le Pmi italiane è rappresentato dal fatto che agli istituti nazionali è andata una parte consistente del maxi prestito di Francoforte: 139 miliardi di euro.
Il timore che molti esperti hanno espresso nelle ultime settimane e negli ultimi mesi è che le banche questi soldi li usino non per sostenere l’economia reale, ovvero le imprese, ma per fare operazioni finanziarie che garantiscano un ritorno facile e privo di rischi (esempio, comprare titoli di stato, che al momento pur essendo scesi rispetto a fine 2011 continuano a presentare tassi ben superiori rispetto all’1% del prestito Bce).
Ma da più parti sembrano essere arrivate rassicurazioni in questo senso: la già citata audizione di Sabatini (che rappresenta l’Abi, cioè le banche italiane), il quale parlando di liquidità da impiegare a favore di imprese e famigliesi è riferito esplicitamente all’asta della Bce.
Ha anche spiegato che «l’iniezione di liquidità della prima asta ha consentito di non ridurre gli impieghi all’economia» permettendo alle banche italiane di far fronte «alla chiusura dei canali di rifinanziamento all’ingrosso» senza operare un’ulterore stretta al credito.
Cioè senza quell’operazione ci sarebbe stata una nuova stretta al credito ben più pesante di quella che comunque è avvenuta soprattutto nella seconda patre del 2011. E ora, par di capire, questa seconda operazione dovrebbe rappresentare una ancor più massiccia boccata d’ossigeno.
Liquidità a favore delle imprese
Ad esprimersi a favore di un maggior utilizzo di liquidità a favore delle imprese non è stato solo il direttore generale dell’Abi. Ne hanno parlato lo stesso Draghi (per inciso, appena nominato governatore onorario della Banca d’Italia, affianco così l’ex presidente della Repubblica, ed ex governatore di Via Nazionale, Carlo Azeglio Ciampi), così come il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli: «lo scopo dell’operazione della Bce è di dare liquidità al sistema» permettendo a banche e intermediari finanziari di «operare normalmente nell’economia reale».
E lo stanno dicendo, in queste ore, anche i banchieri degli istituti italiani che hanno partecipato all’asta. Enrico Cucchiani, numero uno di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato che l’isituto ha preso 24 miliardi di euro e ha sottolineato la volontà di impiegare questi soldi anche il credito alle imprese. Fra le altre banche italiane, Unicredit si è aggiudicata una somma fra i 10 e i 15 miliardi, Ubi Banca intorno ai sei miliardi, il Banco Popolare circa 3,5 miliardi.
Comunque, per fare i conti precisi e soprattutto per passare dalle dichiarazioni d’intenti ai fatti (la liquidità servirà effettivamente per aumentare il credito alle imprese?) bisogna attendere le prossime settimane e i prossimi mesi.
Nel frattempo si può sottolineare che le reazioni dei mercati alla mossa di Francoforte sono state positive, soprattutto in Piazza Affari (dove non a caso vanno particolarmente bene i titoli delle banche) così come quella dello spread, sotto i 330 punti, ai minimi dal settembre scorso.
Moratoria e accesso al credito
Infine, le imprese. Le quali negli ultimi giorni hanno a più riprese insistito sulla questione del credito. Giuseppe Bertolussi, segretario della Cgia di Mestre, nei giorni scorsi commentando positivamente l‘accordo ABI sulla moratoria dei debiti, aggiungendo che però «il vero problema sta nell’incentivare l’erogazione del credito che negli ultimi mesi si è praticamente interrotto» e ha auspicato che i soldi della Bce «vengano prestati a famiglie e imprese».
Molto simile il commento della Confapi: la moratoria dei debiti alle Pmi «era un atto necessario» ma che «purtroppo non si rivelerà risolutivo, data la gravità della condizione in cui versano moltissime imprese» ha dichiarato Paolo Galassi, presidente di Confapi, secondo cui «senza ulteriori iniezioni di liquidità il futuro di migliaia di aziende resta incerto».
Galassi fornisce dati precisi: «nel 2011 il 55% delle aziende piccole o medie non ha effettuato nessun tipo di investimento e le previsioni sono ancora più negative, il 64% non ha intenzione di investire nemmeno nei prossimi mesi». Il fattore critico resta l’accesso al credito, che deve migliorare: negli ultimi sei mesi, conclude il dirigente Confapi «i rapporti con le banche sono peggiorati per il 53% delle pmi e più del 71% degli imprenditori denuncia un aumento delle condizioni praticate. Si tratta di una situazione intollerabile, che ha avuto pesanti ripercussioni su produzione, ordini e fatturato, diminuiti in tre Pmi su cinque».