La disposizione dei prodotti tra gli scaffali di un un negozio non è orientata a facilitare il consumatore: le strategie di collocazione seguono regole commerciali e di opportunità volte piuttosto a influenzarne le scelte, indirizzarlo opportunamente verso specifici prodotti e, il più delle volte, a fargli cambiare idea inducendolo ad acquistare ciò che conviene al negozio! Questo è l’obiettivo del cosiddetto Shelf Marketing.
Letteralmente marketing dello scaffale, si riferisce all’insieme delle tecniche di disposizione delle merci sugli scaffali di negozi e supermercati per invogliare il consumatore abituale o casuale, catturarne lo sguardo, convincerlo all’acquisto e incrementare così le vendite.
Il marketing, infatti, nel tempo si è evoluto e oggi comprende anche le politiche dei prezzi, le attività promozionali e il sistema logistico della distribuzione. Un panorama molto ampio, quindi, che fa del marketing un ‘ attività quasi scientifica e che oggi si avvale anche della componente tecnologica per migliorare la propria pervasività.
La componente scientifica sfrutta i dati analitici e statistici per pianificare e implementare strategie di presentazione, pricing e fidelizzazione del cliente, mentre la componente “artistica” riguarda tutte quelle idee creative per catturare l ‘ attenzione dei potenziali clienti, e influenzarne le scelte consumistiche.
«Lo spazio sullo scaffale si può considerare come uno “spazio edificabile” di grande valore, e l’efficienza nel gestirlo può fare la fortuna o la fine del negoziante, ma anche del produttore», spiega Luissa Eichman director of space planning services di Coca-Cola Enterprises, (società non collegata a Coca Cola Company, n.d.r.)
Un produttore o distributore ottiene più o meno spazio a seconda dei risultati di vendita ottenuti l’anno prima tenendo conto anche degli episodi di stock-out (mancato riassortimento), evenienza sgradita al consumatore che rischia di cambiare prodotto (nel 37% dei casi), rinunciare all’acquisto (10%) o spostare la ricerca in un altro negozio (20%).
Tale è l’importanza di non andare fuori stock che l’Indicod-Ecr, associazione di categoria delle aziende industriali e distributive dei beni di consumo, ha organizzato a Milano il Convegno OSA DAY, una giornata dedicata all’Optimal Shelf Availability, ovvero il processo che ottimizza la disponibilità dei prodotti sugli scaffali dei punti vendita e permette di evitare gli out of stock, mediante l’uso di opportuni KPI (Key Performance Indicators, letteralmente indicatori di prestazione).
Le strategie
Una prima regola della disposizione delle merci richiede il piazzamento di prodotti simili in posti vicini. Alternativamente, è possibile sistemare in modo ravvicinato prodotti che sono collegati fra loro nell’uso quotidiano: ad esempio il sapone vicino i bagnoschiuma o i sottolio vicino ai sottaceti.
Inoltre è possibile raggruppare i prodotti per famiglie, e tipicamente questo avviene per le bevande – i vini, i succhi di frutta un’altra, le bevande gassate e così via.
A queste regole apparentemente volte a semplificare la ricerca da parte del consumatore, vengono accostate altre di tipo shelf marketing, che mirano a favorire le vendite: per ogni categoria merceologica, si collocano i prodotti più convenienti negli scaffali più bassi o più alti – cioè nei posti meno agevoli da raggiungere – lasciando al centro le marche più note e costose, che in tal modo risultano più visibili e più semplici da inserire nel carrello.
Ogni punto vendita decide la disposizione delle categorie di prodotto secondo due criteri soggettivi: per favorire il lavoro del personale del negozio, avvicinando ad esempio reparti e magazzini; per enfatizzare il messaggio al cliente.
Se si vuol dare una impressione di freschezza e genuinità subito all’ingresso saranno presenti i prodotti più nuovi, mentre se si vuole enfatizzare la convenienza all’entrata saranno disposte le categorie di prodotti in offerta speciale e così via, secondo il marketing pubblicitario prescelto.
Infine per ogni punto vendita esiste un sistema di posizionamento dei prodotti che genera per il consumatore l’obbligo di seguire determinati percorsi e, di conseguenza, lo induce a trascorrere più tempo del necessario all’interno del punto vendita.
Questo comportamento indotto ha un’incidenza notevole sulle vendite. In un supermarket, ad esempio, funziona mediante la predisposizione di un percorso primario lungo il quale si giunge al percorso primario – dove sono disposti i beni di prima necessità (latte, pane, acqua) – da una serie di percorsi secondari (quello dedicato ai bambini, quello dei prodotti non necessari ma con buone offerte, ecc.)
Lungo il tragitto la tentazione può essere ignorata un numero limitato di volte: alla fine almeno un prodotto non presente nell’originaria lista della spesa, sarà inserito nel carrello!
Le tecnologie
Oltre ad essere oggetto di studi specialistici, nelle sue diverse declinazioni il marketing è chiaramente supportato anche dalla tecnologia: sul mercato sono disponibili software per il tracciamento di identikit sui comportamenti d’acquisto dei clienti, suddivisi per fasce di riferimento.
Un esempio di questo tipo è dato dal sistema tecnologico innovativo PRISM (Pioneering Research for an In-Store Metric), che consente di controllare quanto i clienti sono attratti dalla merce esposta sugli scaffali dei punti vendita.
Mediante una spia elettronica, il sistema segue la traiettoria dell’occhio umano, raccoglie i dati, li immagazzina in un database e confronta i movimenti con gli acquisti effettivi. La divisione fra il numero di sguardi e il numero di acquisti fornisce il valore della collocazione degli scaffali e l’incidenza delle promozioni. In tal modo si può ragionare sulla diversa disposizione della merce sugli scaffali per attirare l’attenzione di nuovi target customers.
Ovviamente non mancano le polemiche circa la riservatezza dei dati delle persone, ma i proprietari di Wal-Mart che ad esempio hanno già adottato questo sistema, difendono la loro scelta puntando sull’utilizzo ai soli fini di ottimizzazione espositiva.
Diverso l’approccio degli analisti di marketing della società CCE, che utilizza strumenti chiamati planogrammi (planograms), ovvero schemi di pianificazione dei punti vendita con disposizione degli scaffali ai vari piani del negozio e assortimenti. Inizialmente redatti per ogni punto vendita, oggi vengono supportati da software di space e category management, per produrre planogrammi più velocemente e tenere conto anche dei dati di vendita specifici provenienti dai singoli supermercati (POS, Point of Sale).
La scelta di utilizzare JDA, specialista in soluzioni verticali per il retail e il largo consumo, ad esempio, ha consentito al team di Luissa Eichmann di utilizzare una piattaforma software dedicata che consente di generare planogrammi per singoli punti vendita in 20 minuti al massimo e pianificare così al meglio il sistema di assortimento per ogni negozio.