Sullo stato della globalizzazione dell’economia Ernst & Young, in collaborazione con Economist Intelligence Unit (EIU), ha pubblicato lo studio “Winning in a polycentric world. Globalization and the changing world of business“.
Mentre è ancora diffusa la convinzione di non aver superato la crisi economica partita a fine 2007 dagli USA, dopo la pausa del 2009 è ripartita la globalizzazione dell’economia mondiale.
Lo studio considera le 60 più grandi economie del mondo e prevede che lo sviluppo del “villaggio globale” continuerà senza interruzioni sino al 2014, trascinato da ripresa economica, innovazione tecnologica e crescita dei mercati emergenti.
Si mette inoltre in rilievo che la globalizzazione spinge le imprese a sviluppare il proprio business secondo modelli operativi globali anche se i mercati sono differenziati ed è necessario contemplare una strategia che consideri anche un approccio locale.
Del resto già nel 2005, in “The World is Flat“, Thomas Friedman aveva sostenuto che la globalizzazione ha avuto l’effetto di “appiattire” il mondo. Si tratta di una convergenza tra Oriente e Occidente che riavvicina la frattura tra le due parti del pianeta generata dalla rivoluzione industriale della fine del XVIII secolo.
Ambienti di business ed esigenze dei clienti variano notevolmente da un mercato all’altro. Il potere d’acquisto è un esempio evidente di questa diversità. Anche se il divario si sta restringendo, il reddito pro capite nelle maggiori economie del mondo va da circa 3.700 dollari pro capite in Cina contro i 46.000 negli Stati Uniti. Ciò significa che i prodotti e servizi creati per un mercato è improbabile che siano adatti per l’altro.
Per misurare il grado di apertura e di mondializzazione delle 60 più importanti economie del pianeta vengono considerati diversi ambiti: commercio, tecnologie e brevetti, movimenti di capitali, flusso del lavoro ed integrazione culturale.
Il sistema economico italiano
L’Italia si trova a metà nel ranking delle economie più o meno globalizzate, esattamente al 31esimo posto. Precede il nostro Paese loa Francia al ventesimo posto, il Regno Unito in tredicesima posizione e la Germania in quattordicesima. In testa alla classifica si colloca Hong Kong e in fondo l’Iran.
Il Globalization Index 2010 assegna all’Italia una crescita di circa un punto (4,32 contro i precedenti 3,40) dal 1995 ad oggi, grazie agli avanzamenti tecnologici e agli scambi commerciali. Integrazione culturale e aspetti legati a immigrazione ed emigrazione sono invece incrementati solo in modo marginale, mentre è cresciuto in misura notovole il numero di utenti internet.
Dalla serie di interviste a oltre mille senior executive in tutto il mondo, realizzate a fine 2010 per verificare il loro punto di vista sulla globalizzazione, emerge che l’87% ritiene possibile un ritorno al protezionismo da parte dei Governi su pressione delle opinioni pubbliche qualora si riaffacciasse la recessione, mentre il 70% del campione dichiara che i propri investimenti diretti all’estero aumenteranno nei prossimi tre anni.
Posizioni apparentemente inconciliabili ma che spiegano bene il clima di incertezza ancora presente sui mercati mondiali e che rappresenta la sfida che devono affrontare le imprese.